LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, IO POSSO SAPERE"

creata il 30 novembre aggiornata il2 dicembre 2008

 

 

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Giullare non di Dio ma di me stesso,
frutto d’ignoti, e sono in vita adesso.
Vincenzo Loriga, Non sentirò più Scarlatti, 2008

 

Nel secondo capitolo del secondo libro della Scienza nuova Vico scrive:

l’uomo ignorante si fa regola dell'universo.

L’uomo introduce l’ignoranza nell’universo. Su questo ci sono pochi dubbi. L’ignoranza esordisce nel mondo con Homo sapiens. Si può fare una scienza di questa ignoranza? Con Freud rispondiamo di sì: è la scienza dell’inconscio la nostra “scienza nuova”, scienza di un sapere che non si sa di sapere. Poiché è una scienza dell’ignoranza, ci chiediamo quale sia il suo fondamento e dove si manifesti nel modo più evidente.


Propongo di ripartire da un luogo freudiano scabroso, e perciò trascurato dall’ortodossia freudiana. Mi riferisco al saggio metapsicologico sulla Rimozione (1915), là dove Freud introduce la nozione basilare di Urverdrängung, rimozione primaria (termine che il Gesamtregister delle GW non registra in modo autonomo!). Si tratta di un hapax che Freud stesso propone con esitazione, scrivendolo a metà tra parentesi: (Vorstellungs-)Repräsentanz. Cito il passo per intero, prima in tedesco e poi in italiano, avvertendo che è di traduzione non banale. Wir haben also Grund, eine Urverdrängung anzunehmen, eine erste Phase der Verdrängung, die darin besteht, daß der psychischen (Vorstellungs-)Räpresentanz des Triebes die Übernahme ins Bewußte versagt wird (S. Freud, “Die Verdrängung” (1915), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 250) “Abbiamo pertanto motivo di supporre una rimozione primaria, una prima fase della rimozione, che consisterebbe nell’interdire al rappresentante psichico della rappresentazione della pulsione di essere accolto nel conscio”.
Se la nostra traduzione è fedele allo spirito di Freud, abbiamo buoni motivi per supporre che nell’apparato psichico freudiano non siano all’opera rappresentazioni ma rappresentanti (psichici) della rappresentazione. La nostra supposizione ha il pregio di distinguere radicalmente tra cognitivismo e psicanalisi. Nell’apparato psichico cognitivista sono all’opera rappresentazioni, essendo il cognitivismo una psicologia della rappresentazione, che canonicamente deve adeguarsi alla cosa rappresentata. Nell’apparato psichico freudiano, invece, essendo potenzialmente scientifico, non c’è luogo per alcun adeguamento. La verità freudiana non è l’omologazione ma la fertilità di nuove verità. Pertanto nella psiche freudiana non sono attive rappresentazioni ma rappresentanti di rappresentazioni. Detto in modo spiccio, all’origine della psicologia freudiana non ci sono homunculi, che si godano le reality televisive delle rappresentazioni, perché le rappresentazioni semplicemente non esistono.
Questa affermazione, tuttavia, vale solo se riferita all’origine, intesa in senso logico, della concezione psichica di Freud. Infatti, sia prima sia dopo il citato articolo metapsicologico Freud cede alla tentazione delle rappresentazioni, per esempio delle rappresentazioni di cosa e di parola, cadendo in una sorta di cognitivismo psicanalitico. Aperta la porta al cognitivismo con il conflitto tra principio di piacere e il principio di realtà, gli homunculi, almeno due, se non tre, tornano a invadere le due topiche freudiane, dove si combattono senza tregua l’un con l’altro, uno prevalentemente all’attacco – l’inconscio e l’Es – l’altro prevalentemente in difesa – il conscio e l’Io. Correggere Freud, decantarlo dal suo antropomorfismo, salvando lo spirito originario dell’intuizione freudiana, è il lavoro in atto in questo sito. Lavoro che si realizza su più fronti. Su un fronte mira a indebolire la nozione medica di eziologia, che si incarna nella metapsicologia delle pulsioni, che non sono degli istinti ma delle cause efficienti e finali: sono la forza che causa il movimento psichico e la meta dello stesso movimento, intesa come soddisfazione sessuale o abbassamento delle tensioni psichiche. Sull’altro fronte in questo sito, soprattutto con il riferimento continuo alla matematica più astratta, si lavora per restituire tutta la sua portata epistemica alla nozione di rappresentante della rappresentazione.

Ma cosa intendere per “rappresentante della rappresentazione”? Freud non ci viene incontro e non ci facilita la comprensione. Da vero scienziato – si pensi  a Darwin o a Einstein – Freud stesso resiste alla propria intuizione scientifica, per intenderci, quella già acquisita nel Progetto per una psicologia e poi rigettata. In quel testo genialmente anticipatore Freud si propone di “produrre una scienza psicologica naturale (naturwissenschaftliche Psycologie), presentando i processi psichici come stati quantitativamente determinati di componenti materiali identificabili” (S. Freud, “Entwurf einer Psychologie” (1895), in Sigmund Freud gesammelte Werke, Nachtragsband, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 387). I primitivi rappresentanti della rappresentazione sono i circuiti neurali psi e omega, entrambi derivati dall’arco riflesso phi. I circuiti psi sono sede dell’organizzazione inconscia delle cariche Q, mentre i circuiti omega, meno materializzati e più diffusi, ospitano le qualità consce, intese come frequenze di risonanza di numerosi circuiti neurali distribuiti in molte aree cerebrali. Freud anticipa di mezzo secolo le macchine disorganizzate di tipo B di Alan Turing, prototipi delle successive reti neurali, e di un secolo il Darwinismo neurale di Edelman. Il sapere inconscio freudiano si localizzerebbe o in piccole aree cerebrali, che non entrano in risonanza con la corteccia cerebrale (inconscio biologico propriamente detto) o, meglio, in connessioni neurali non ancora stabilite (inconscio come sapere non ancora saputo). Tralascio di elogiare le intuizioni freudiane sulla teoria neuronale del sistema nervoso, per cui undici anni dopo l’Entwurf, mai pubblicato, Camillo Golgi e Santiago Ramon y Cajal guadagneranno il Nobel. Freud anticipa addirittura la nozione di sinapsi come barriera di contatto, Kontaktschrank, su cui si basano le fortune delle moderne neuroscienze (e dell’industria farmacologica), a partire dai lavori pionieristici di Sherrington. Quel che senza polemica mi preme certificare, per poterla superare, è la singolare debolezza scientifica di Freud. Sostengo, infatti, che Freud non ebbe il coraggio morale di sopportare le conseguenze della propria concezione materialistica della psiche. Perciò ripiegò su teorie umanistiche, basate su homunculi, abitanti immaginari delle due topiche, attrezzati con gli strumenti della vecchia eziologia aristotelica e ippocratica: le cause efficienti e finali.


L’umanesimo di Freud non fu senza conseguenze deleterie per la psicanalisi. Da una parte lasciò campo libero sia agli epigoni sia agli antagonisti di Freud per ridurre la psicanalisi (una scienza potenziale) a psicoterapia (una tecnica attuale), dall’altra lasciò spazio a filosofi come Binswanger e Lacan per inserire di forza nella dottrina psicanalitica i loro tic filosofici. Binswanger ci provò con il primo esistenzialismo heideggeriano, una variante della fenomenologia, inventando la Daseinanalyse. Lacan introdusse il proprio logocentrismo, una variante della dottrina giovannea del Verbo, un vero e proprio corpo estraneo alla psicanalisi. In Lacan i rappresentanti della rappresentazione si trasformano in significanti, perdendo la rappresentazione. Decadono a elementi di una pseudolinguistica, dove non hanno più alcun rapporto con il significato (cfr. la pagina su De Saussure), limitandosi a rappresentare il soggetto per un altro significante.


Si può fare di meglio? Forse sì. Giacché siamo in tema di ignoranza, proviamo a lavorare con la nostra. Non sappiamo bene cosa siano i rappresentanti della rappresentazione. Sappiamo solo cosa non sono: non sono rappresentazioni. Quindi, ogni volta che al posto di un rappresentante della rappresentazione ricorrerà una rappresentazione, possiamo essere ragionevolmente certi che quello
è un punto caldo, dove ricorre del falso, quindi potenzialmente del vero. Nella fattispecie c’è del falso, quindi del vero, là dove ricorre la rappresentazione più falsa di tutte, la madre di tutte le rappresentazioni, l’Io.

Dopo un lungo Umweg intorno alla nozione di “rappresentante della rappresentazione” vengo al tema di questa pagina – l’Io.

Che cos’è l’Io? ci chiediamo dopo Cartesio. La domanda non si poneva prima di lui. La filosofia moderna inizia con la riflessione sul soggetto della scienza, impegnato in una pratica epistemica nuova, mai esistita prima: la scienza, appunto. Prima di Cartesio esisteva la cognizione. Che fosse platonica o aristotelica, la cognizione era da sempre fondata sull’adeguamento: dell’intelletto all’idea, in Platone e nei platonici; dell’intelletto alla cosa, in Aristotele e negli aristotelici. Ora, dalla lunga incubazione medievale emerge la scienza, che con l’adeguamento ha poco a che fare. Quindi è legittimo interrogarsi sul soggetto responsabile di questa nuova pratica, che produce certezze a tutti gli effetti inattendibili – ma le produce! E' feconda di novità, la scienza. E' innovativa, a differenza della cognizione che è sterile e conservativa. Ma la dialettica scientifica delle congetture, prima fantasticate, poi provvisoriamente provate e quasi mai del tutto falsificate, esige di “fondare” il soggetto che si avventura nella loro problematica manipolazione.


“Ma dunque che cosa sono io?” si chiede Cartesio nel bel mezzo della Seconda Meditazione e si risponde: “Una cosa che pensa. Che cos’è una tale cosa? In verità, una cosa che dubita, che intende, che afferma, che nega, che vuole, che non vuole, che immagina anche, e che sente”.


Da allora, ferma restando l'acquisizione come operatore scientifico - per altro acquisizione mai tranquilla e definitiva, ma variamente misconosciuta e contestata dall'ontologia dominante - la posizione epistemica dell’Io si è diffratta in uno spettro di varianti. Secondo lo storico della filosofia Abbagnano sono almeno quattro quelle fondamentali:
1. Io come coscienza (Cartesio, Locke, Maine de Biran, Kant, Rosmini);
2. Io come autocoscienza (Kant, Fichte, Schelling, Hegel);
3. Io come unità del/con il mondo (Spinoza, Hume, Kant);
4. Io come rapporto (Kierkegaard, Santayana, Merleau-Ponty, Dewey).
Il filosofo che meglio ha pensato il rapporto tra l’Io e il rappresentare, il vor-stellen, cioè il mettere davanti a sé, è Heidegger. La certezza dell’Io è la certezza del rappresentare, cioè del configurarsi un’immagine del mondo, anzi del configurare il mondo come immagine. (M. Heidegger, “L’epoca dell’immagine del mondo” (1950), in Sentieri interrotti, trad. P. Chiodi, La Nuova Italia 1984, p. 84). Al filosofo, tuttavia, la misura in cui l’Io stesso è una rappresentazione senza rappresentante sfugge. Ciò non dovrebbe sfuggire allo psicanalista.
Invece…
La teorizzazione di Freud procede ambiguamente per tentativi ed errori. C’è un prima breve fase in cui l’Io è la sede delle pulsioni di conservazione, contrapposte alle pulsioni sessuali. Fondamentalmente l’Io è il luogo della conservazione del quantum vitae, minacciato dalle pretese disgregatrici delle pulsioni sessuali. Nella prima topica l’Io è i suoi meccanismi di difesa (Anna Freud), distribuiti tra narcisismo (Io ideale, summa narcisistica) e rapporto oggettuale (Ideale dell’Io, che sarà poi governato dal Super-Io dopo un breve interregno conflittuale tra Io-piacere e Io-realtà). Dopo la svolta del 1920 e l’introduzione della seconda topica, la posizione dell’Io si sdoppia definitivamente. Da una parte l’Io diventa l’intermediario tra l’Es inconscio, in cui affonda le proprie radici, e la realtà che lo obbliga a moderare e integrare sia le pretese delle pulsioni sessuali e/o aggressive sia le pretese moralistiche del Super-Io (Io come funzione di sintesi). Dall’altra parte, l’Io diventa un fascio di identificazioni, residuo di passati e perduti rapporti oggettuali, ma sempre pronti a riattivarsi a livello privato (innamoramenti) e/o pubblico (fanatismi e fondamentalismi).
Come si vede Freud non applica all’Io la sua teoria della Vorstellungsräpresentanz.


Lacan è quello che si avvicina di più alla concezione dell’Io come rappresentazione. Lo stadio dello specchio “fonda” il moi come risultato della cattura alienante nell’immagine dell’altro. Grazie alla performance piratesca, che deruba Henri Wallon della scoperta dello stadio dello specchio - pirateria documentata in un testo perduto per il congresso di Marienbad del 1936 - Lacan si conquista presso i filosofi il merito di aver distinto tra soggetto e Io, il primo da intendere come effetto del registro simbolico dei significanti senza significato, il secondo come portato del registro immaginario delle rappresentazioni senza rappresentante. Non lo nego: piccoli passi avanti rispetto a Freud, senza dei quali non esisterebbero i nostri. Manca, tuttavia, il passo decisivo: il riconoscimento della falsità della rappresentazione senza rappresentante, passo necessario alla psicanalisi per ritrovare il rappresentante perduto, cioè il rappresentante dell’oggetto.


Dal punto di vista scientifico l’Io è un falso nel senso intuizionista del termine. Cioè, è un sapere incompleto, perché è una rappresentazione senza rappresentante. Dove c’è l’Io c’è un buco. C’è un’immagine speculare senza specchio, un’immagine dell’altro senza altro. Ben a proposito Freud enunciò il suo aforisma anticipatore: “l’Io deve spostarsi nell’Es”, perché solo lì potrà verificare la falsità della propria posizione e ritrovare – forse – la verità del proprio rappresentante, chiamalo come vuoi: oggetto, ancoraggio, cervello darwiniano, mente quantistica o semplicemente... poesia.

C'è un punto vitale, che l'analista tende a dimenticare e che consegue direttamente dal fatto strutturale che la rappresentazione dell'Io manchi di rappresentante.

L'Io è la sede d'elezione dell'angoscia.

Capisco che degli scienziati come Edelman e Tononi, autori di un buon libro di divulgazione sul cervello darwiniano (Un universo di coscienza, Come la materia diventa immaginazione, trad. S. Ferraresi, Einaudi, Torino 2000), espressamente dedicato all'analisi neurologica del rappresentante della rappresentazione, non parlino d'angoscia. Per il neuroscienziato, come per il filosofo, l'Io è sede della coscienza. A differenza del filosofo, il neuroscienziato va a cercare la coscienza dove le tecniche di cui dispone gli permettono di trovarla, per esempio, nei circuiti rientranti talamocorticali e lì in effetti trova qualcosa che assomiglia alla cosicenza - la coscienza primaria di Edelman. Ma mi stupisce che uno psicanalista come Lacan dedichi l'intero seminario del 1954-1955 all'Io, senza mai nominare l'angoscia. Fin dalle prime battute è preoccupato di picchiare in testa ai propri allievi la distinzione tra moi e je, uno immaginario e l'altro simbolico, senza dire come questa distinzione, più filosofica che clinica, c'entri con l'esperienza fondamentale dell'angoscia. Più della coscienza l'angoscia è un'attività delocalizzata del cervello. Per questa ragione all'Io sembra che l'angoscia non abbia oggetto, non essendo il portato di un singolo circuito sensomotorio, isolato dal contesto di tutta l'attività cerebrale (connessioni con altri circuiti sensomotori, memoria, emozioni ecc.), ma l'effetto della risonanza di buona parte della corteccia e del tronco cerebrale. Essendo apparentemente senza oggetto, intorno all'angoscia si si sono potute formulare le teorie più disparate e bislacche: da quelle teologiche di Kierkegaard (angoscia della libertà e del peccato) a quelle mitologiche di Freud (angoscia edipica di castrazione). Ma l'angoscia è un sentimento che non inganna, come arriva giustamente a dire Lacan otto anni dopo il seminario sull'Io. Ci ha messo otto anni per rendersi conto che l'angoscia segnala all'Io la presenza dell'oggetto, che immaginava di aver perduto, e che torna a ritrovarlo. (E' l'oggetto che ritrova l'Io, non l'Io che ritrova l'oggetto!). Otto anni sono lunghi, ma Lacan partiva svantaggiato, impegolato com'era nella teoria filosofica dell'oggetto originariamente perduto. Meglio di lui si era mosso Freud, che concepiva l'oggetto del desiderio come oggetto da ritrovare. Perciò Freud riuscì a formulare diverse teorie sull'angoscia, almeno due: angoscia da energia sessuale non adeguatamente scaricata sull'oggetto e angoscia da falso segnale dell'oggetto.

Ma in un'ottica freudiana autentica le cose sono più semplici. Finalmente nell'angoscia la rappresentazione dell'Io ha la chance di ritrovare il proprio rappresentante materiale. Non dimenticarlo, psicanalista, se vuoi fare della psicanalisi scientifica. E magari anche della psicoterapia, riportando l'Io al suo baricentro e riducendo in questo modo l'angoscia (1). Allora e solo allora l'Io può prendersi un attimo di respiro (l'angoscia toglie il respiro) e cessare di rappresentarsi le cose più spaventose e per lo più false. Solo allora, ripeto, perché solo allora trova il rappresentante delle rappresentazioni. Come dire? Grazie allanalisi, l'Io trova il segnalibro dell'oggetto e non ha più bisogno di immaginare cosa troverà scritto nel libro. In un certo senso, vive tranquillo nella propria ignoranza, che la cura scientifica consolida. Se vuole sapere, sa dove andare a leggere. Il segnalibro psicanalitico - il freudiano Vorstellungsräpresentanz - non è la rappresentazione, ma rappresenta il luogo dove il soggetto può trovare qualcosa di simile a una rappresentazione. Il segnalibro ti porta alla pagina che ti serve leggere senza patemi d'animo.

Questa concezione del rappresentante della rappresentazione come Lesezeichen è sì freudiana, ma anche molto moderna. Essa presuppone una struttura attiva della memoria biologica. La memoria animale non è l'archivazione passiva di fotografie (le rappresentazioni) o di dati, come vengono registrati nel hard disk di un PC o in un DVD. Biologicamente parlando, ricordare non è un semplice contemplare o rieditare una situazione passata, ma è ricostruirla o, come si dice oggi, ricategorizzarla. Il "segnalibro", come l'indirizzo di una memoria informatica, ti manda in un'area cerebrale dove puoi fare qualcosa di parzialmente programmato durante le interrogazioni precedenti per trovare la rappresentazione o istruzioni per avvicinarti a essa. Hai presente il gioco della caccia al tesoro? La mente freudiana funziona come una caccia al tesoro, ma con un tesoro variabile, continuamente rimaneggiato e rimodellato. Ricordare è ricostruire il passato, rielaborarlo ogni volta in modo diverso, in funzione della situazione attuale che si sta vivendo. (Se l'animale si muove, la riedizione del ricordo deve essere dinamica, anch'essa in un certo senso in movimento). Sono queste le "costruzioni in analisi" di cui parlava l'ultimo Freud, rimaste lettera morta per gli epigoni, Lacan compreso.

A questo punto si giustifica anche l'esitante scrittura freudiana. (Vorstellungs)Räpresentanz è molto simile alla scrittura fregeana di funzione e argomento (cfr. Funzione e concetto, Funktion und Begriff). In f(x) la x è la rappresentazione e la f è il "segnalibro" che porge le coordinate in cui si trova o la rappresentazione stessa o qualcosa che può servire a rintracciarla. Peccato che Freud non abbia continuato più a lungo a giocare la sua caccia psichica al tesoro della rappresentazione.

Concludendo, faccio notare che il modello del segnalibro per l'hapax freudiano della Vorstellungsräpresentanz falsifica la teoria lacaniana dell'oggetto originariamente perduto. L'oggetto non è perduto. E' lì che ti guarda (se è l'oggetto sguardo). Tu hai semplicemente perso il segnalibro necessario a ritrovarlo o hai un segnalibro sbagliato, che magari ti rimanda a un altro oggetto. La carenza di segnalibri giusti caratterizza la tua ignoranza. Allora ti consoli o creando universi, come ci racconta Vico, o perdendoti nell'angoscia.

Digressione per i lacaniani

Quel che resta dell'originaria formulazione dello stadio dello specchio di Lacan, riassunto nella comunicazione al congresso di Zürich del 1949, è sufficiente a documentare un guadagno e una perdita, che resteranno determinanti per il successivo sviluppo del “sistema di pensiero” lacaniano, come giustamente lo definisce la Roudinesco.


Il guadagno dello stadio dello specchio è il registro "immaginario" come pendant del registro "simbolico", entrambi indipendenti dal registro "reale" e tra loro. L’immaginario fonda il narcisismo come rappresentazione senza rappresentante, cioè vuota. Il simbolico fonda l’insieme delle Wortvorstellungen, o rappresentazioni di parola, come significanti senza significato. Entrambi i registri si fondano su un vuoto – quel senza – rispettivamente di rappresentante e di significato. La mancanza di fondamento nei registri della soggettività permetterà al guru una serie di giochi di prestigio intellettuali che vanno dallo scivolamento del soggetto lungo la catena significante inconscia (che traducono i termini freudiani di condensazione e spostamento) fino all’individuazione dell’ancoraggio del desiderio nell’oggetto a. Alcune parti di questa dottrina sono da conservare, a cominciare dall’oggetto a, ma non più chiamato “oggetto causa”. Molte altre parti logocentricamente determinate e più filosofiche, dall’inconscio strutturato come un linguaggio alla supremazia del fallo nella significazione del desiderio, vanno semplicemente dimenticate.


La perdita secca dello stadio dello specchio è la nozione di corpo. In Lacan il corpo si riduce a corps morcelé, cioè a corpo parcellizzato dai significanti, che operano su un substrato di immaturità biologica, particolarmente deformabile e plasmabile. Non esiste altra teoria del corpo in Lacan che la frammentazione. Un po’ poco e quel poco gli impedisce di pensare la sessualità. In Lacan la sessualità non è corporea ma gioco astratto di significanti. Non esiste neppure l’ombra di una ripresa della sessualità infantile – alla faccia del tanto decantato ritorno di Lacan a Freud. Anche il famoso aforisma non esiste rapporto sessuale è vacuo. Se non  esiste corpo, non esiste sessualità, quindi automaticamente non esiste rapporto sessuale. L'inesistenza del rapporto sessuale non è un assioma autonomo, ma è la poco felice conseguenza del logocentrismo - in fondo, un banale teorema filosofico. Il mio professore di anatomia mi raccomandava di fare attenzione agli artefatti tecnici nella registrazione del dato scientifico. Qui l’artefatto è la parcellizzazione del corpo a opera del logocentrismo, che impedisce al maestro di concepire il rapporto sessuale e la struttura dei suoi equivalenti sintomatici. Il godimento dell’Altro, contrapposto al godimento fallico, testimonia, come ritorno finale del rimosso, la rimozione della dimensione  corporea in tutta la dottrina lacaniana.

Note

(1) Dove meglio che in una pagina sull'Io riportare una breve definizione di "psicoterapia"? E quale definizione migliore di una definizione freudiana?

Die Psychotherapie kann keinen anderen Weg einschlagen,
als das
Ubw der Herrschaft des Vbw zu unterwerfen ("La psicoterapia non può battere altra strada che quella di sottomettere l'Inc alla signoria del Prec". S. Freud, „Die Traumdeutung“ (1899), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. II/III, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 584).

Questa definizione rende onore alla psicoterapia. Peccato che non sia una definizione. Infatti, nel definiendum ricorre un definiens non definito. Cosa sono le sigle Vbw e Ubw? Cosa sono Preconscio e Inconscio? Crediamo di saperlo per abitudine, ma in realtà non lo sappiamo.

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