LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE NELL'INCOMPLETEZZA"
pagina creata il 30 giugno 2008 modificata il 3 luglio 2009

 

 

Vieni da “scienziati” o da una delle pagine dove contrappongo la conoscenza prescientifica, idealmente completa (nell'Iperuranio), e la scienza moderna, intesa come attività (terrestre) essenzialmente incompleta e incompletabile.

Sei in “Kurt Gödel”

L’idea di dedicare una pagina a Gödel, mi è stata suggerita dalla bella traduzione di Rosella Prezzo – finalmente una traduzione dal francese senza francesismi! – del libro di Pierre Cassou-Noguès, intitolato I demoni di Gödel. Logica e follia (2007), Bruno Mondadori, Milano 2008.

Non sarà una pagina esaustiva questa, come si potrebbe trovare in un’enciclopedia. Sarà una pagina particolare, orientata a un problema particolare:

i rapporti tra scienza e follia.

So per esperienza, per averne in gioventù frequentata qualcuna, cosa si insegna nelle scuole lacaniane di psicanalisi, in particolare in quella di Miller. I lacaniani ortodossi raccontano che la scienza sarebbe una variante di psicosi paranoica. Come ogni paranoia, anche quella scientifica sarebbe favorita da una situazione psichica diffusa: l'indebolimento, tipico della modernità, della funzione paterna. La paranoia scientifica sarebbe, in particolare, generata dalla fuorclusione del Nome del Padre dal registro simbolico, che a sua volta porterebbe alla fuorclusione del soggetto dal discorso scientifico, in quanto il Nome del Padre, cadendo nel reale, non potrebbe più esercitare la sua funzione di significante. Ma senza significante non c'è soggetto, recita il logocentrismo lacaniano. Sono sciocchezze – con un nucleo di verità, tuttavia, sulla funzione paterna nella modernità; sono dettate da una forma filosofica assai diffusa (quella fenomenologica) di resistenza alla scienza, ma sono sciocchezze non prive di un certo interesse per la potenziale verità che contengono. Perché arrivare a pensare una sciocchezza simile? Questa è la questione che mi intriga più della sciocchezza in sé. Vedrò di dare una risposta parziale.

Comincio correggendo un piccolo ma fatale errore dell’autore citato, tuttavia non esclusivamente suo. Secondo un luogo comune, purtroppo inconfutabile e ormai ben radicato nella cultura, Gödel viene presentato come
“il più grande logico del XX secolo”.
Non sto dicendo che l’autore sia uno sprovveduto. Cassou-Noguès sa benissimo che la logica del XX secolo non è la logica di Aristotele o di Kant. Non è neppure la logica delle novecentesche Ricerche logiche (1900-1901) di Husserl, un autore che stava simpatico a Gödel. La logica di Gödel è la logica matematica. Dopo Frege, la logica matematica sostituisce il soggetto aristotelico, cui conviene un certo predicato, con il quantificatore esistenziale o universale di una certa variabile. E' questa a fuorclusione scientifica del soggetto secondo l'ortodossia lacaniana? Non lo so. Sia come sia, Gödel è un matematico, il quale si interessa a quella particolare branca non quantitativa della matematica, che va sotto il nome di logica matematica o simbolica. E all’interno di questa branca, nel giro di due anni, riesce a dimostrare due metateoremi fondamentali: il primo riguardante la logica dei predicati, come formalizzata da Russell e Whitehead nei Principia Matematica (1910-1913), il secondo riguardante l’aritmetica elementare, come formalizzata da Peano (Arithmetices Principia, 1889). Nel 1930 dimostra il teorema di completezza della logica, generalizzando un teorema di Löwenheim-Skolem (1919). Nel 1931, grazie a un’astuta tecnica di traduzione di ogni enunciato sull’aritmetica dentro l’aritmetica stessa (gödelizzazione), Gödel riesce a dimostrare, sfruttando una variante del paradosso del mentitore, che l’aritmetica, se è coerente, è incompleta, cioè possiede enunciati né dimostrabili né confutabili all'interno dell’assiomatizzazione di Peano (e in altre).
Sorvolo sul fatto che Cassou-Noguès sorvoli sul teorema di completezza della logica, che insieme all’incompletezza dell’aritmetica segna la linea di demarcazione tra il campo ristretto (e completo) della logica e il campo più ampio (e incompleto) della matematica. Riconosco che la presentazione di Gödel come logico, serve a Cassou-Noguès per aprire il discorso sulla filosofia di Gödel, quindi sulla sua specifica “follia” (virgolette dell’autore).
E questo è il punto cruciale.
Della sua filosofia sappiamo poco, perché Gödel non pubblicò nulla in proposito, temendo le reazioni dei benpensanti del tempo. Tuttavia, dalle conversazioni con il giovane matematico Wang, conosciamo l’assioma fondatore della filosofia gödeliana. Leggiamo a p. 27 del libro citato:

Nulla è lasciato al caso.

Si tratta di un assioma forte di ragion sufficiente, parente dell’assioma più debole e più noto di Einstein (Gödel e Einstein furono colleghi a Princeton) secondo cui
“Dio non gioca a dadi”.
Insomma, questi grandi uomini di scienza, quando filosofavano, filosofavano contro la loro stessa scienza. La loro scienza era indeterministica e incompleta. Parzialmente indeterministica era la teoria della relatività di Einstein. Incompleta era l’aritmetica di Gödel. La loro filosofia, invece, era deterministica e completa. Tutto doveva essere spiegato in base all’applicazione razionale del principio di ragion sufficiente, secondo cui

Niente è senza causa (Heidegger).

Dovrebbe essere chiaro, infatti, che l’assioma “nulla è lasciato al caso” fonda un sistema cognitivo completo. Quindi, per quanto appena detto, il sistema che si fonda su tale assioma sarà logico, non matematico, cioè non scientifico. Certo, è una completezza pagata a caro prezzo, perché, quando non sai come spiegare qualcosa, ci sono pronti angeli e diavoli, come demiurghi tuttofare, disposti a spiegare tutto e il contrario di tutto, sopperendo alle tue insufficienze epistemiche, pur di stabile che una causa esiste sempre e comunque a spiegare l'effetto. Nel caso migliore, quando si verifica una circostanza avversa alla tua vita, puoi sempre fare ricorso alla teoria del complotto, una spiegazione semplice e universale (anche un po’ narcisistica) del male di vivere. Si chiama paranoia.
La follia di Gödel è tutta qui.
E aggiungo. Si tratta di una follia poco originale e comune a molti scienziati, i quali, quando escono dal loro laboratorio, si mettono a filosofare. Niente di male in questo, anzi è molto comprensibile. E' forte per chi lavora tra formule e provette la tentazione di regredire a filosofie prescientifiche, nel caso a filosofie
eziologiche e deterministiche di stampo aristotelico, capaci di dare un senso umano all'attività propriamente scientifica, per altro largamente insensata.
Aristotelico è il nocciolo del nostro senso comune, infatti. E il senso comune è il nocciolo di ogni ricerca di senso della vita. A sua volta, nocciolo religioso, come ben riconosceva lo stesso Gödel. Il punto è ben trattato nel libro citato.

*

E adesso vengo alla ragione vera che mi ha spinto ad aprire una pagina su Gödel. È una ragione che va al di là del singolo caso Gödel e getta uno sguardo panoramico (e poco convenzionale – perciò parlerò di follia e non di psicosi) sulla storia della psichiatria, come correlato della storia della scienza.

L’antichità prescientifica non conosceva le “follie intellettuali”, tipicamente la paranoia, nelle varianti che vanno dalla paranoia semplice secondo Kraepelin alla schizofrenia paranoide di Bleuer. Conosceva solo quelle che oggi potremmo chiamare “follie affettive”, cioè alterazioni del tono dell’umore: abbassamento nella malinconia, innalzamento nella mania, oscillazione perpetua tra alto e basso nelle cosiddette forme bipolari (le vecchie follie circolari).
Ovviamente, le follie affettive esistono anche oggi. Si parla addirittura di prevalenze spaventose, pari a 1/3 della popolazione mondiale, ma sono statistiche tendenziose, a beneficio dell’industria farmaceutica, che produce e vende farmaci antidepressivi. Perché le follie affettive esistono ancora oggi e non si sono estinte con l’avvento del discorso scientifico? Perché sono follie ontologiche. Sono follie dell'essere del soggetto che si dirige contro l’oggetto del desiderio. Si è depressi contro qualcuno, così come si è esaltati contro qualcun altro. I latini avevano capito bene che questi sbalzi di umore erano attacchi diretti contro l’oggetto, in particolare  contro il patrimonio di qualcuno, precisamente contro il patrimonio familiare o paterno, magari da parte dello stesso pater familias. Perciò inventarono la figura giuridica del curator furiosi, a difesa non del matto ma del patrimonio. Poiché l’ontologia è eterna quanto l’essere, le follie affettive “non cesseranno di scriversi”, direbbe Lacan. Sono necessarie all’essere.
Del tutto diverse sono le follie epistemiche, che emergono in epoca scientifica – quella che Foucault chiama âge classique (1). In epoca scientifica emerge un nuovo tipo di sapere, inaugurato dagli esperimenti (per lo più mentali) di Galilei e ratificato dal cogito cartesiano. La mia ipotesi storiografica è che si tratti di un sapere (di certo parziale) sull’infinito. Non è solo un fenomeno scientifico l'infinito, si badi. C'è l’infinito in pittura, che emerge attraverso la prospettiva, l’infinito in musica, che si distribuisce lungo la scala cromatica, l’infinito in matematica, che si articola attraverso il calcolo infinitesimale e la teoria dei numeri transfiniti, l’infinito in fisica, testimoniato dal principio di inerzia. Le follie intellettuali dell’era moderna rispondono a questo nuovo tipo di sapere. Purtroppo si tratta di una risposta in negativo. La follia – in poche parole – dimostra di non saperci fare con l’oggetto della modernità: l’infinito. Giustamente Foucault parla di “assenza d’opera” in appendice alla sua Storia della follia (1961). In effetti, l’infinito è un oggetto fondamentalmente intrattabile. Non è ineffabile, ma non è neppure concettualizzabile secondo gli schematismi prescientifici, in primis lo schematismo eziologico di causa ed effetto.
Lo scienziato, infatti, tratta prevalentemente fenomeni spontanei e senza causa: il moto inerziale in fisica classica, il decadimento radioattivo in fisica quantistica, la speciazione in biologia, il desiderio in psicanalisi. Questi fenomeni senza causa avvengono  sotto il segno dell’oggetto infinito. L’infinito va trattato, perciò, con modi opportuni e inventati apposta per lui: il metodo induttivo in aritmetica, il metodo differenziale in analisi matematica, i metodi dell’evoluzione caotica in biologia e nelle scienze sociali, il metodo psicanalitico nei confronti dell’infinito oggetto del desiderio. Chi non riesce a trattare l’infinito impazzisce. La follia moderna è una forma di incompetenza intellettuale nei confronti dell’oggetto della modernità. Essa supplisce all’incompetenza con i deliri e le allucinazioni. Il delirio eziologico di Gödel, che lo portava a dedurre l’esistenza del diavolo dal teorema di incompletezza, fu una forma di fallimento della sua impresa scientifica, nonostante questa fosse paradossalmente coronata da successo. Aggiungo che si tratta di un fallimento difficilmente evitabile: è l’inadeguatezza dell’umano rispetto allo scientifico.

Già che sono in tema di delirio, ne segnalo un tratto, che considero specifico della sua antiscientificità o, per meglio dire, della sua prescientificità, e che può ulteriormente chiarire il discorso qui proposto.

Il delirio è incorreggibile, esattamente come la “scienza” prescientifica, codificata nel libro. Prima dell’invenzione della stampa il libro, e quindi il suo contenuto, era un oggetto poco modificabile. Risultato: la scienza libresca è delirante in quanto immodificabile e dogmatica. Dei paranoici Freud diceva che “amano il loro delirio come se stessi” (Minuta H, 1895). Diceva poco. Il delirante non ha dubbi. Il geloso è sicuro – per principio – che la moglie lo tradisce, indipendentemente dal fatto che lo tradisca o no. Ma, se non c’è dubbio non c’è possibilità di scienza, intesa in senso moderno. È possibile solo la scienza antica, già scritta in qualche organon o bibbia. In assenza di dubbio è possibile solo la conoscenza – certissima – delle cause. Se non c’è dubbio non c’è possibilità di confutazione. Se non c’è confutazione ci sono solo conferme. Se ci sono solo conferme, siamo in ambito dottrinario o ideologico, per non dire delirante, cioè fuori dal campo scientifico. In un certo senso, il delirio del folle è un fossile prescientifico in epoca scientifica. Testimonia un’epoca in cui il sapere era tutto scritto in modo immodificabile nel libro e ignorava il “metodo” di procedere per conferme (provvisorie) e confutazioni (definitive). A quei bei tempi il libro della natura era già scritto tutto ed era depositato nella biblioteca di qualche curia. Per trarne informazioni di “storia naturale” bastava fare l’esegesi del libro. Oggi quel libro non esiste più, nel senso che non è già tutto scritto, ma va scrivendosi par provision, attraverso iscrizioni e cancellature.

Il delirante legge segni, magari allucinatori, che confermano la propria idea delirante. L’uomo di scienza legge poco e interpreta ancor meno. Scrive e cancella combinazioni significanti, che formano la “cosa epistemica” o meglio le "cose epistemiche", le quali non rimangono mai identiche a se stesse ma sono in continuo rimaneggiamento. Il delirante è un uomo di fede e di libro… di preghiere. L’uomo di scienza è un uomo che dubita della propria stessa ragione. Perciò sottopone la propria ragionevolezza a continuo riesame, nel timore e tremore di scoprirsi demente. Forse bisogna dare ragione a Freud e ammettere che il delirio, individuale o collettivo, è una forma di guarigione spontanea per la perdita del mondo (Caso Schreber, Cap. 3, GW, vol. VIII, p. 308). A mio modo di vedere il delirio è il tentativo di guarigione, che offrono ready-made religioni e ideologie, da quella malattia intellettuale della modernità che si chiama scienza. È la guarigione attraverso la regressione all’età prescientifica. Bisogna finalmente ammettere che il carico intellettuale della scienza galileiana è molto oneroso per l’intelletto umano. Niente al confronto del peso delle metafisiche con le loro ontologie e delle religioni con le loro morali basate sul senso di colpa. Sotto il peso della scienza galileiana l’intelletto può cedere. In fondo, le scienze umane, che sono rimaste pregalileiane, sono meno pericolose. Non hanno mai fatto impazzire nessuno.

Concludo questa pagina con un ammonimento di matrice spinoziana. È bene non separare troppo nettamente le follie affettive da quelle intellettuali. Infatti, anche gli affetti sono idee o rappresentazioni. Sono idee imperfette, quindi false (in senso epistemico, non nel senso di non vere), direbbe Spinoza. Sono idee non ben sapute, quindi false rispetto alla perfezione con cui le sa Dio. In questo senso, le moderne follie intellettuali non sono un guadagno assoluto della modernità. Prolungano le follie affettive dell’antichità, esattamente come il sapere moderno, meccanicistico ma indeterministico, prolunga e supera il sapere eziologico dell’antichità. Con qualche rischio per la salute mentale, in particolare. In generale, non senza sofferenze soggettive.

*

Postilla eziologica.

L’errore paranoico è prescientifico, come dicevo. Il delirio si configura nel momento in cui il soggetto dà più peso alle corroborazioni delle ipotesi deliranti (attraverso coincidenze, ricorrendo alla formula sterotipata: “non è un caso che…”, o, nei casi gravi, attraverso argomenti ad hominem) che alle loro confutazioni. Il delirio prende formalmente le mosse quasi sempre da uno spunto demenziale, precisamente dalla seguente fallacia di tipo logico. Il paralogismo che innesca il delirio recita: “Se A allora B; ma è vero B, allora è vero A”. Una modalità tipica e diffusa di applicazione di tale fallacia è proprio quella del principio di ragion sufficiente. “A causa l’effetto B. Si è verificato B. Quindi ha agito la causa A”(2). Come si vede, in entrambe le versioni della fallacia, non compare la negazione.

Grazie all'universalità e alla completezza del principio di ragion sufficiente – nulla è senza causa o nulla avviene per caso – il paranoico non riesce a sottrarsi alla coazione a corroborare, quindi a trovare la causa di tutto. Così il paranoico rifornisce di combustibile il proprio delirio, che in questo modo si autonomizza, in pratica si autoalimenta, e si presenta allo psichiatra come blindato dietro una corazza di incorreggibilità. La continua e coatta corroborazione del delirio espunge dallo stesso ogni possibilità di dubbio. Il soggetto paranoico, pertanto, non accede alla scienza. Non riesce, partendo dal dubbio originario, a operare sistematiche confutazioni e correzioni di congetture. Tous se tient, è il suo motto. E sarebbe finalmente la guarigione dalla paranoia, la scienza. Sarebbe la guarigione dalla coazione a corroborare - altro che variante del discorso paranoico! come sostengono i milleriani. "Sono riuscito là dove il paranoico fallisce", scriveva il 6 ottobre 1910 l'uomo di scienza Freud al collega medico Ferenczi, che la scienza vide sempre con il binocolo. (Sigmund Freud-Sandor Ferenczi, Lettere, vol. I, trad. Silvia Stefani, Cortina, Milano 1993, p. 228).

Le considerazioni che precedono consentono di spiegare in modo semplice il fenomeno storico della paranoia. Perché non si appalesa nell'antichità la paranoia? Perché la paranoia è la malattia mentale della modernità? La risposta è paradossale. Nell'antichità la paranoia non esiste perché paranoico è l'antico modo di pensare per causas, codificato come normale, per esempio, dalla metafisica aristotelica. Erano tutti paranoici anticamente, tranne poeti e artisti. Quindi, all'epoca il paranoico non si distingueva né dall'uomo comune né dal sapiente. Nel mondo classico l'immaginario delle cause era scambiato per il reale degli effetti, cosa che precludeva ogni spazio per lo spontaneo e il romanzesco. (L'unico romanzo antico è l'Odissea.) Il sapere si regolva sulla base del principio di verità come adeguamento del soggetto all'oggetto. Naturalmente, non era un rapporto naturale, ma era governato dal Super-Io di qualche maestro. L'ipse dixit era la regola cognitiva dell'antichità.

In epoca scientifica il principio di autorità decade e con lui il cognitivismo. I diritti della conferma cedono il passo ai doveri della confutazione. La trasformazione epistemica destabilizza un mondo rigidamente organizzato e lascia scoperta la paranoia, là dove il soggetto pretende fondare la conoscenza su qualche principio assoluto - quello del proprio delirio, appunto. Nelle forme più pure, non inquinate da componenti persecutorie o megalomaniche, la paranoia esprime la nostalgia del buon tempo antico dove vigevano ordine e legalità. Politicamente parlando, la paranoia è il sogno della destra. Il fascista sogna la restaurazione dell'impero romano. Sulla conoscenza paranoica ha espresso interessanti intuizioni Lacan, riconducendola allo stadio dello specchio.

"Ce que j'ai appelé la connaissance paranoïaque se démontre alors répondre dans ses formes plus ou moins archaïques à certains moments critiques, scandant l’histoire de la genèse mentale de l’homme, et qui représentent chacun un stade de l’identification objectivante". (J. Lacan, "L'agressivité en psychanalyse" (1948), in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 112).

Quanto ho sopra detto riguardo al delirio vale in forma indebolita per ogni forma di di dottrina – siano dottrine di conoscenza o dottrine di psicanalisi.

Le future scienze dell’ignoranza devono tenere ben presente questo fatto: la dottrina, potendo essere solo confermata e mai confutata, è lo strumento migliore di cui la volontà di ignoranza dispone per conservare se stessa. La dottrina non ammette nulla che possa contraddirla, quindi è una difesa naturale per chi voglia mantenersi nello stato epistemico acquisito, senza doverlo mai modificare. Se esiste una pulsione di autoconservazione, essa si esprime nell’attaccamento a qualche dottrina. Non a caso gli uomini di fede chiamano “salvezza” la dottrina a cui sono attaccati.

"Amano il loro delirio come se stessi", diceva Freud dei paranoici (Minuta H, 1895). "Amano la loro dottrina come se stessi", si dovrebbe dire di tutti gli ortodossi. Infatti, sia la dottrina sia il delirio ammettono solo conferme e non confutazioni. I paranoici e gli ortodossi amano la loro formazione epistemica – delirante o dottrinaria – e odiano le formazioni epistemiche altrui, che vivono come persecutorie, esattamente perché la propria li mette al riparo dal venire a sapere qualcosa di nuovo. Con questo corollario generale: le passioni erotiche – l’amore e l’odio – affondano le loro radici nella volontà di ignoranza.

Note

(1) All'epoca, negli anni Sessanta, ebbe una certa risonanza il dibattito tra Foucault e Derrida. Il primo sosteneva che Cartesio avrebbe fuorcluso la ragione dalla follia. Il secondo ribatteva che la follia costituiva già in Cartesio il limite della libertà della ragione. Essendo fenomenologi, entrambi misconoscevano la portata della nuova razionalità scientifica rispetto alla vecchia razionalità eziologica prescientifica. In epoca scientifica la razionalità prescientifica si deposita come un fossile: è il fossile della malattia mentale. Si chiama paranoia e non più furia o melanconia. (Torna su)

(2) Il paralogismo regge se A equivale a B, cioè se la causa coincide con l'effetto. L'osservazione distrugge il laborioso tentativo aristotelico di declinare in forme analogicamente differenziate il monolito parmenideo dell'essere, Unico e Immobile. Il principio di ragion sufficiente è una forma mascherata di principio di identità. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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