LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE DIMENTICHI I MAESTRI"
modificata il 22 dicembre 2008

 

 

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Come situare nel panorama culturale generale, prima che nello specifico campo psicanalitico, la figura di un autore discusso e controverso come
Lacan?

Nel manuale di filosofia dei miei figli leggo un giudizio di Didier Anzieu, analizzante di Lacan, nonché figlio di una paziente psichiatrica di Lacan, intorno alla quale il maestro imbastì la propria tesi di specialità (1932): "Gli Scritti di Lacan non ci insegnano nulla di nuovo, lo stadio dello specchio è un abbaglio, l'ortodossia freudiana di Lacan è un mito, nessuno si è allontanato da Freud quanto Lacan".

Io sono meno severo di Anzieu, ma mi chiedo:

Lacan fu veramente freudiano?

Il suo vantato ritorno a Freud non ha convinto nessuno al di fuori dalla sua cerchia, quasi come la dimostrazione epistemica dell’esistenza di Dio – la brillante trovata di Cartesio – che non convinse i teologi né del suo né del nostro tempo. (La teologia cartesiana fu un trucco per divertire l'attenzione dei critici su un falso problema e far passare inosservata, sdoganandola, la scabrosa verità del cogito.)

Lacan è un autore logocentrico - di un particolare logocentrismo fallogocentrico, precisa Derrida. Lo testimoniano le formule, ripetute come giaculatorie dagli allievi: l’inconscio strutturato come un linguaggio, il significante rappresenta il soggetto per un altro significante, ecc. Ma applicato a Freud, dal Discorso di Roma (1953) all’Istanza della lettera nell’inconscio (1957), passando per la Cosa freudiana (1955), il logocentrismo lascia adito a molti dubbi.

Sembra o inutile o pretestuoso.

Inutile, perché già Freud è sufficientemente sensibile al logos, rabbinico com’era. Pretestuoso, perché tutto il marchingegno dottrinario, messo in piedi da Lacan, strumentalizza Freud come canale autorevole per far passare nella cultura una dottrina discutibile, la dottrina del significante del desiderio. Una dottrina di cui non si sentiva il bisogno.

Dottrina – parola chiave.

Su un punto esistono pochi dubbi. Lacan fu un maestro. Viveva per la sua scuola, l'Ecole Freudienne de Paris. Gli allievi erano il suo sintomo - precisamente il suo feticcio. Contate quante volte il significante mes élèves ricorre negli Scritti o nei Seminari. La statistica vi sorprenderà. Cosa vogliono gli allievi? Non pensare. La dottrina è il costrutto teorico che risponde allo scopo. E Lacan fu all’altezza del suo sintomo. In fatto di ignoranza, nel senso di attivo non voler sapere, gli allievi superarono addirittura il maestro. Bersaglio tipico del non voler sapere è la scienza. Le dichiarazioni antiscientifiche del lacanismo si sprecano: si va dalla biologia darwiniana, bollata come finalistica, alla logica moderna, considerata come tentativo di suturare il soggetto della scienza. Perle dell'analfabetismo scientifico.

Costruita in modo assiomatico-deduttivo, formalmente rigorosa, quindi apparentemente scientifica, la dottrina sta sul piano epistemico agli antipodi della scienza. Infatti, è incontrovertibile. La scienza, invece, è confutabile e rivedibile. La dottrina non si presta a revisioni perché è inconfutabile ed è inconfutabile perché è unica, cioè non ammette alternative. La scienza, invece, è originariamente confutabile, perchè nasce dal terreno del pluralismo epistemologico e ammette controdeduzioni da qualunque parte provengano. (L'espressione "pluralismo epistemologico" è la versione seria del motto di Feyerabend: "Tutto va bene per fare scienza"). La dottrina è autoritaria, la scienza democratica. La dottrina permette solo l’infinito commento, che la espanda sempre simile a se stessa, interpretazione dopo interpretazione, ma rimanendo sempre all'interno del solco segnato dal maestro e ripercorso avanti e indietro dalle autorità istituzionali di controllo dell'ortodossia. Realizza, così, il non-pensiero, la dottrina, e previene le rivoluzioni scientifiche. Non per nulla le dottrine stanno a fondamento delle religioni. Da una dottrina si può uscire solo con un’altra dottrina, altrettanto rigida della precedente. Lo testimonia la storia delle religioni, intessuta di scismi ed eresie, esattamente come la storia del movimento psicanalitico.

(Lacan aveva inventato i cartelli, come luogo dove avrebbe dovuto realizzarsi il lavoro autoreferenziale del commento scolastico e la celebrazione ritualistica della propria dottrina. Il cosiddetto più uno doveva sintetizzare il lavoro di commento, svolto dai compagni, in nome della dottrina.)

Si potrebbe addirittura arrivare a dire che, in quanto uomo di dottrina, Lacan non fu analista. Infatti, all’analista si chiede di saper ascoltare il proprio paziente senza pregiudizi, quelli della propria scuola compresi. Gli si chiede la sospensione del giudizio, che i fenomenologi chiamano epoché. Lacan non la esercitò nelle proprie cure? Certo è che molte sue cure finirono in paranoia postanalitica, come lui stesso riconobbe. La paranoia postanalitica di Lacan, come la reazione terapeutica negativa di Freud, furono reazioni alla posizione dottrinaria di entrambi gli autori. Ma sarebbe semplificare troppo affermare che Freud e Lacan non furono analisti. Sono, infatti, non pochi i punti dell'opera di Lacan che testimoniano che Lacan operò da “dentro” al discorso analitico.

Quali?

Vai a Lacan intuizionista

oppure

Lacan fenomenologo

Ma perché non imbastire una pagina

Lacan falso maestro?

Per un punto di vista sintetico sull'opera di Lacan a quasi trent'anni dalla morte rimando al mio saggio, di prossima pubblicazione sull'ultimo numero di "aut aut" del 2009 ,

Lacan, il soggetto, l'oggetto,

dove sviluppo la tesi secondo cui Lacan fu due volte poco freudiano. Nella prima fase, quella dedicata in prevalenza al soggetto, perché fu troppo filosofico, in particolare logocentrico (l'inconscio strutturato come un linguaggio; il significante rappresenta il soggetto per un altro significante, ecc). Nella seconda, quella dedicata all'oggetto-causa del desiderio, perché fu troppo poco scientifico. (Uno scienziato non parla di cause. Lascia che ne parlino il medico, in termini di agenti patogeni, e il giurista, in termini di moventi). Lo dico senza polemica e non per evocare chissà quale purezza del freudismo. Lacan fu poco freudiano esattamente come fu poco freudiano Freud, quando entrambi misero in campo teorie aristoteliche.

Freud inventò la metapsicologia delle pulsioni. La chiamava "strega". In realtà era la riedizione della vecchia fisica aristotelica, basata sul moto "naturale" del mobile dal luogo di partenza (la zona erogena) al luogo di arrivo (la meta della soddisfazione sessuale). A sua volta Lacan propose la teoria dell'oggetto a come oggetto-causa del desiderio, basandola sulla tetrapartizione eziologica dello Stagirita (causa materiale, formale, efficiene e finale). L'aristotelismo arrivò a Freud attraverso Brentano; a Lacan attraverso Husserl, che a sua volta aveva frequentato insieme a Freud i seminari di Brentano. Ma chi fa dell'aristotelismo è destinato a fare poca scienza e molta dottrina.

I capisaldi della dottrina lacaniana sono fondamentalmente aristotelici. Lacan perfeziona l'aristotelismo freudiano a due livelli.

a) Trasforma il moto pulsionale da rettilineo (dalla zona erogena all'oggetto) in circolare, tradizionalmente considerato come perfetto (la pulsione lacaniana è autoreferenziale, soddisfacendosi in se stessa).

b) Potenzia l'eziologismo e arriva a porre la causa del desiderio addirittura all'interno dell'oggetto.

Ne risulta un determinismo purificato da ogni residuo empirico (positivista), puramente logico (la famigerata "logica del significante") e perciò inattaccabile da parte di qualsiasi forma di critica a partenza dall'esperienza. Ai suoi allievi Lacan pone una domanda retorica: "C'est la cause: la cause non pas catégorie de la logique, mais en causant tout l'effet. La vérité comme cause, allez-vous, psychanalystes, refuser d'en assumer la question, quand c'est de là que s'est levée votre carrière? S'il est des praticiens pour qui la vérité comme telle est supposée agir, n'est-ce pas vous?" (J. Lacan, "La science et la vérité", in Id., Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 870).

Come dire? Per dirlo in temini semplici, può forse servire un riferimento satirico. Chi non conosce Pangloss, il precettore di Candide, personaggio inventato dalla sulfurea fantasia di Voltaire? Chi non lo conosce basta che legga queste poche righe che delineano il personaggio "tutto lingua", ma si potrebbe anche dire "tutto significante": "Pangloss ensegnait la métaphysico-théologo-cosmolonigologie. Il prouvait admirabilment qu'il n'y a pas d'effets sans cause". Il significante produce e spiega eziologicamente tutti gli "effetti di soggetto". Qualunque caso clinico viene "spiegato" riconducendolo all'azione prevalente di una certa combinazione di significanti che produce gli effetti soggettivi osservati: sintomi, lapsus, transfert, sogni. Ovviamente la spiegazione è vuota e formalistica, nonostante gli insistiti riferimenti al "reale", impossibile da scrivere. Curiosamente questa falsa, perché semplicistica, epistemologia ricorda il modo di procedere di certi biologi darwiniani ortodossi - anche loro dottrinari - i quali, per spiegare qualunque configurazione biologica, si inventano storie adattative ad hoc (le just so stories, come ironicamente le chiamano Gould e Lewontin), basate esclusivamente sulla selezione naturale, dimenticando la complessità degli altri fattori evolutivi in gioco: la deriva genetica, i vincoli ambientali di sviluppo, i rapporti morfologici delle componenti dell'organismo, i meccanismi di adattamento cooptati da altre linee evolutive e tutte le forme di variabilità covariante, che vanno sotto il nome di autocriticità organizzata (Kaufmann). Il nodo da sciogliere del fallogocentrismo lacaniano è sostanzialmente questo: un groviglio mentale dove si intrecciano almeno tre fili, ben noti alla storia della filosofia. C'è il determinismo unilaterale - da dimenticare come ogni discorso prescientifico basato sulle essenze. C'è il monismo immaterialista - da proscrivere, come ogni discorso teologizzante basato sulle cause prime. C'è l' idealismo filosofico, in formato logocentrico - da combattere come ogni discorso che "fuorclude" la dimensione della corporeità.

Insomma, per dirsi lacaniani oggi, c'è molto Lacan da dimenticare.

(Vai a un logocentrismo particolare).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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