LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE,
PROVANDO E RIPROVANDO"
modificata il 28 aprile 2008

 

 

Vieni da "elenco scienziati" o da una delle innumerevoli pagine dove cito il Grande Pisano come promotore della moderna mentalità scientifica.

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Galilei

Chi mi scrive una pagina su Galilei?

Magari un dialoghetto tra un fanatico della scienza come Sciacchitano e un moderno Simplicio, tipo Husserl, che nel (suo) Lebenswelt sostiene che la Terra non si muove. Per i patiti di antiquariato metto a disposizione l'articolo originale: il famoso - a torto - Umsturz.

Sarebbe l'occasione per dimostrare la differenza di fondo tra scienza antica e moderna, la prima orientata a determinare quel che c'è, la seconda a inventare quel che non c'è. La prima sterile e conservativa, la seconda feconda e innovativa. E' paradossale, ma è così. Lo dico per i fenomenologi che amano i paradossi, ma non altrettanto la scienza cartesiana.

Entrambe - scienza antica e scienza moderna - registrano lo stesso "fenomeno": l'impossibilità di registrare sulla terra qualunque effetto del moto di rivoluzione della Terra sui fenomei fisici (fatta eccezione per la misura di parallesse di stelle non troppo lontane). Il grande Galilei sprecò la quarta giornata del suo Dialogo sui massimi sistemi per dimostrare l'effetto della rivoluzione terrestre sulle maree. Avrebbe fatto meglio a risparmiarsi la fatica. (Fatica imposta dal persistere del buon senso aristotelico nella mente del primo, e forse maggiore, innovatore scientifico).

Il paradosso è che dallo stesso fenomeno - in questo caso un singolare fenomeno "negativo" - derivano due "teorie" diverse. La prima, la teoria prescientifica, nega categoricamente che la terra si muova. Siccome non si registrano effetti causati dal movimento, vuol dire che il movimento non esiste. Così ragiona l'eziologismo prescientifico. La seconda, la teoria scientifica, invece, opera sul piano delle congetture. Formula una congettura sullo spazio e sul tempo. Si chiama principio di inerzia, la prima congettura scientifica degna di questo nome.

Tale congettura si può formulare in due modi equivalenti: uno soggettivo e l'altro oggettivo. Per il modo soggettivo si tratta, innanzitutto, di un principio di inerzia della scrittura delle leggi fisiche. Secondo tale congettura i fenomeni in un certo sistema di riferimento sono in linea di principio indipendenti dal movimento inerziale (cioè rettilineo uniforme) del sistema in quanto tale. I fenomeni meccanici si possono descrivere con la stessa legge in sistemi inerziali diversi. La scrittura della legge non varia - è un invariante - da un sistema inerziale all'altro. La teoria prescientifica afferma o nega qualcosa in modo categorico: "la terra è ferma". La scientifica, invece, escogita un principio di equivalenza, secondo cui negli infiniti sistemi di riferimento inerziali i fenomeni avvengono nello stesso modo e sono descritti dalle stesse leggi che, tuttavia, non distinguono tra le diverse misure di velocità: dalla velocità zero (quiete) alle infinite velocità positive. Resta per sempre indeterminato il sistema di riferimento in cui viviamo. Non sappiamo se siamo su una astronave che viaggia all'80% della velocità della luce o su una tranquilla barchetta che remiga a 5 nodi, rispetto a un ipotetico sistema di riferimento assoluto, quello di dio. La scienza moderna vive nell'incertezza. Non spaccia articoli di fede.

La formulazione oggettiva del principio di inerzia convoca l'infinito. In assenza di forze, il moto rettilineo uniforme di una particella continua in linea retta all'infinito. Il principio di inerzia è, appunto, un principio. Non lo si ricava dall'esperienza, ma consente di analizzare l'esperienza. Kant direbbe che è la condizione trascendentale per fare esperienza fisica. E' l'a priori che consente di accedere all'a posteriori. Fu una grande performance di pensiero l'averlo formulato. Non a caso ci vollero due geni per metterlo a punto: Galilei e Cartesio.

Vale la pena qui rintuzzare un argomento cavalcato dai filosofi antiscientifici, di solito fenomenologi in versione accanita, per lo più heideggeriana, i quali scomodano addirittura Laplace, il quale nel 1774 scriveva:

Noi dobbiamo riguardare il presente stato dell'universo come l'effetto del suo stato precedente e come la causa di quello che seguirà. Ammesso per un istante che una mente possa tener conto di tutte le forze che animano la natura, assieme alla rispettiva situazione degli esseri che la compongono, se tale mente fosse sufficientemente vasta da poter sottoporre questi dati ad analisi, essa abbraccerebbe nella stessa formula i moti dei corpi più grandi dell'universo assieme a quelli degli atomi più leggeri. Per essa niente sarebbe incerto ed il futuro, così come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.
(Pierre Simon de Laplace, Essai philosophique sur les probabilites)

Questa frase è citata a sostegno della tesi - in verità, un'accusa - che la scienza sia determinista. In verità, i veri deterministi, legati al discorso delle cause e delle essenze, sono loro, i fenomenologi. Laplace sostiene semplicemente che in ogni universo meccanico le equazioni di Lagrange regolano il moto dei corpi materiali. Ma tali equazioni non sono principi giuridici - le leggi fisiche non sono norme nel senso di principi di legalità, come amano credere gli epistemologi di formazione umanistica. Esse sono leggi relative, cioè sottoposte al - condizionate dal - principio di relatività, prima quello di Galilei, poi quello di Einstein. Tale principio stabilisce che le leggi della meccanica si scrivono allo stesso modo in tutti i sistemi di riferimento inerziali, negli universi, cioè, dove il tempo è omogeneo, lo spazio omogeneo e isotropo, i quali si muovono l’uno rispetto all’altro a velocità costante.
Quel che volentieri si dimentica è che gli universi inerziali sono infiniti. Le equazioni di Lagrange determinano quel che succede in un universo tra i tanti, ma non determinano l’universo a cui si applicano. Infatti, valgono indifferentemente in tutti gli infiniti universi inerziali. Inoltre, la funzione lagrangiana è determinata a meno di una derivata rispetto al tempo (principio di inerzia).
Risultato: le equazioni di Lagrange sono infinitamente indeterminate. Il qui pro quo deterministico fu combinato da Newton, che credeva all’esistenza del riferimento assoluto, ponendosi dal punto di vista di dio. Una fede che si trasmise in parte anche a Einstein.

Morale: la scienza moderna non è cognitiva, non sapendo neppure dirci in che universo viviamo.

Sollevandoci di appena un gradino verso una maggiore generalità, ci sentiamo di proporre una distinzione, che sgombra il campo da tanti paradossi e antinomie intrattabili, del tipo della contrapposizione tra materia e spirito, tra corpo e mente, tra necessità e libertà, e altri dualismi del genere, su cui si basano tanti auto ed eteroinganni, di cui abbiamo subito le nefaste conseguenze nel secole breve.

Proponiamo di distinguere nettamente tra determinismo e meccanicismo, assegnando il primo alla filosofia prescientifica (tutta la filosofia sarebbe prescientifica?) e il secondo alla scienza. Tipicamente, il determinismo la fa da padrone nel discorso aristotelico, che disegna un mondo rigorosamente retto dal principio di causa ed effetto. In base a tale principio, ontologicamente inteso, si configura l'assetto epistemologico della scienza aristotelica, che è conoscenza delle cause. Rappresentante fossile di questa "scienza" antica è oggi la medicina, che conosce e tratta le malattie attraverso la loro eziologia.

Il meccanicismo scientifico non ha niente a che fare con il determinismo. Il meccanicismo galileiano accetta fenomeni spontanei, senza causa, come il moto rettilineo uniforme. Il meccanicismo quantistico accetta fenomeni spontanei, senza causa, come il decadimento radioattivo. Il meccanicismo biologico accetta fenomeni spontanei, senza causa, come la formazione delle specie, a partire dalla variabilità genetica con l'ausilio del "tempo profondo" (sei milioni di anni la sopravvivenza minima di una specie secondo Niles Eldredge). Per gli schizzinosi, invece dell'aggettivo antropomorfo "spontaneo", avrei dovuto usare il termine tecnico "contingente", cioè che può essere o che può non essere. Ma tant'è. La scienza studia il contingente e lascia il necessario all'ideologia. La scienza si iscrive nel registro del contingente anche quando - e soprattutto quando - è dichiaratamente materialista.

(Il quadro della scienza fissata alle leggi ineluttabili, necessarie e normative, della materia è uno scarabocchio infantile dell'idealismo, ma che, per una sorta di contrappasso, piace tanto ai teologi che inveiscono contro il relativismo a favore del "disegno intelligente").

Cosa caratterizza, allora, il meccanicismo?

Dai tempi di Archimede meccanicismo significa simmetria.

Il principio della leva di Archimede stabilisce che una leva di primo genere con bracci uguali è in equilibrio, se ai suoi estremi regge pesi uguali. Due bracci uguali sono chiaramente simmetrici rispetto al fulcro della leva. Questo è meccanicismo statico. Ma esiste anche il meccanicismo dinamico, per esempio quello introdotto dal principio di inerzia, che considera simmetrico il passato rispetto al futuro. Esiste perfino un meccanicismo indetermistico, per esempio quello del lancio della moneta, dove le due probabilità, quella che esca "testa" e quella che esca "croce", sono simmetriche rispetto alla probabilità di massima incertezza, cioè 1/2.

I principi di simmetria della meccanica del calcolo delle probabilità furono chiaramente intravisti già da Galilei nelle sue considerazioni sulle "scoperte" di tre dadi. Rimando a questo breve testo, il quale, oltre a essere anticipatore, mostra un mirabile equilibrio - ancora simmetria! - tra le "sensate esperienze" - in questo caso del giocatore - e le "necessarie dimostrazioni" del matematico. La simmetria è sia il portato dell'osservazione empirica sia il motore della dimostrazione combinatoria.

Vai a A proposito di probabilità.

La teoria delle simmetrie arriverà a maturazione formale nel XIX secolo con l'algebra dei gruppi, inventata da Evariste Galois e posta a fondamento degli spazi geometrici da Felix Klein nel suo programma di Erlangen, L'autore che estese la teoria delle simmetrie alla meccanica fu Hermann Weyl, il responsabile della "peste gruppale", come la chiamava Wolfgang Pauli.

Non lontano dagli interessi dello psicanalista, la funzione delle simmetrie - in particolare della simmetria speculare - si ritrova nel famoso stadio dello specchio (pseudo)lacaniano. Del quale si può dare una versione meno fenomenologica di quella che Lacan ci ha propinato, a patto di entrare - ma è difficile per la mentalità umanistica - in un discorso pienamente meccanicistico.

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La differenza tra scienza antica (cognitiva) e moderna (non cognitiva) è di principio, sostanziale e formale. La scienza antica è la scienza dell'Uno, totalmente determinata da esso. La scienza moderna è la scienza dell'infinito, ma non totalmente determinata da esso. L'indeterminismo scientifico nasce molto prima del principio d'indeterminazione quantistica. Nasce ai tempi del dubbio cartesiano e si manifesta già da subito nella natura non categorica dell'infinito. Per la mentalità veteroscientifica il paradosso è duplice: che si dia un sapere anche là dove non tutti i rapporti sono determinati in modo univoco e che tale sapere possa essere organizzato all'insegna del meccanicismo.

Non meno importanti sono gli effetti delle due posizioni epistemiche. La scienza dell'Uno è sterile, la scienza dell'infinito è feconda. Una volta stabilito come stanno le cose, la scienza dell'Uno non ha più niente da dire. Tutto sta scritto nel catechismo. Vuoi sapere? Non hai bisogno di fare una ricerca teorico-sperimentale. Apri il manuale alla pagina 413, leggi (magari interpretando) e saprai. L'unica attività epistemica che la scienza dell'Uno ammette è il commento del manuale o del testo sacro.

Per contro la scienza dell'infinito è e sarà sempre in divenire. Produrrà sempre nuovi risultati, che non sono ancora scritti nel libro. Questo perché il cerchio del concetto non si chiude su di lei, essendo l'infinito una struttura non concettualizzabile. La ricerca scientifica è sin dall'origine un "compito infinito", come dice Freud della psicanalisi. (Conosco due luoghi dove Freud usa il termine "infinito" in riferimento alla psicanalisi non in senso metaforico ma in senso proprio, addirittura matematico. Vie della terapia psicanalitica (1919), dove parla di "processo infinito di guarigione asintotica" (GW, vol. XII, p. 192) e Analisi finita e infinita (1937), dove parla di "compito infinito" della psicanalisi (GW, vol. XVI, p. 96)).

"Infinito" vuol dire in questo caso "incompleto" nel senso di non categorico. (Attenzione, i due determini non sono equivalenti!) Il sapere scientifico è essenzialmente incompleto. Rimarrà sempre un sapere nel reale, che le future generazioni dovranno scavare. Ci sarà lavoro epistemico per tutti e per sempre, parola di Gödel.

La differenza epistemologica tra antichità e modernità è rilevante, infatti, anche per la psicanalisi, perchè riguarda la struttura dell'oggetto del desiderio. In psicanalisi l'oggetto non è uno, ma molteplice. Non esiste una relazione oggettuale di adeguamento all'oggetto. Esiste il confronto del soggetto con uno spettro infinito di oggetti. Lo sguardo non è l'occhio, ma è l'infinità dei punti di vista da cui il soggetto guarda ed è guardato, che formano lo spazio scopico. La voce non è La voce, ma è la miriade di variazioni sul tema che compongono lo spazio fonico. Lo stesso vale in ambito oroanale dove è definito un continuo e in se stesso metamorfosante spazio degli odori, esteso dalle puzze ai profumi.

(Sulla metamorfosi dell'oggetto, che lascia tracce invarianti nel soggetto, si rilegga La metamorfosi di Kafka).

Secondo me c'è abbastanza materiale per metter su un dialoghetto tra Freudlich e Junglich, tra il rappresentante della nuova scienza e l'esponente della vecchia conoscenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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