LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE DAI SEGNI"
creata il 10 settembre 2008 aggiornata il 21 gennaio 2011

 

 

Saussure

N’oublions pas qu’au départ on a, à tort, qualifié d’arbitraire le rapport du signifiant et du signifié. C’est ainsi que s’exprime, probablement contre son coeur, Saussure – il pensait bien autre chose, et bien plus près du texte du Cratyle comme le montre ce qu’il y a dans ses tiroirs, à savoir des histoires d’anagrammes. Or, ce qui passe pour de l’arbitraire, c’est que les  effets de signifié ont l’air de n’avoir rien à faire avec ce qui les cause.

J. Lacan, Encore (1972), Seuil, Paris 1975, p. 24.

Il legame che unisce il significante [immagine acustica] al significato [concetto] è arbitrario. O ancora, poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente: il segno linguistico è arbitrario.

F. de Saussure, Corso di linguistica generale (1922), trad. T. de Mauro, Laterza, Bari 1987, pp. 85-86.

Da un lacaniano, non tanto ex, ci si aspetta una pagina su de Saussure. Non mi sottraggo al compito, ma lo limito. Mi limito a correggere il travisamento della linguistica saussuriana, operato dal logocentrismo lacaniano.
Si tratta di correggere una correzione. Lacan pretende correggere Saussure. Nega l’arbitrarietà del segno che, insieme alla linearità della catena significante, è un caposaldo della linguistica sincronica saussuriana. Secondo Lacan, il rapporto tra significante e significato non è arbitrario. Semplicemente non esiste. La differenza tra dire che il rapporto tra significante e significato è arbitrario e dire che non esiste, non mi sembra piccola. Eppure,
l'errore di Lacan ha fatto presa (perché?) e si è perpetuato attraverso i suoi allievi della prima ora, Laplanche e Pontalis, i quali nel loro famoso Vocabulaire de la psychanalyse, alla voce Simbolico scrivono: "La tesi del Cours de linguistique générale (1967) è che il significante linguistico preso isolatamente non ha alcun legame interno con il significato; esso rinvia a una significazione solo in quanto è integrato in un sistema significante caratterizzato da opposizioni differenziali".

Ci sono una ragione pratica e una ragione teorica, che spiegano l'origine della corbelleria lacaniana, anche se non la giustificano. La ragion pratica è che Lacan parte dalla pratica analitica dell'interpretazione. Qualunque rapporto si possa immaginare, interpretando il significato di un significante, alla fine esso risulta insensato. Infatti, l’interpretazione psicanalitica mira, secondo Lacan, a individuare l’insensatezza del significante a cui il soggetto è assoggettato nell’inconscio. (Cfr. la seduta del 17 giugno 1964 del Seminario XI . L’osservazione è clinicamente corretta. L’errore sta nel finalizzare la cura psicanalitica alla ricerca del nonsense). La ragione teorica è che che Lacan, da medico e da freudiano, parte dal presupposto eziologico. Esiste la causa per tutto (determinismo eziologico). In particolare, esiste la causa del significato. Si chiama significante, con cui il significato non alcun rapporto di ordine semantico.

La posizione di Lacan, centrata sul significante, si consolida nel paradigma borromeo dei tre registri, dove tra simbolico, immaginario e reale non c’è legame diretto. In particolare, non c’è rapporto tra il registro dei significanti (simbolico) e il registro dei significati (immaginario). Il non-rapporto tra significante e significato fonda il logocentrismo di Lacan come più tardi il non-rapporto tra sessi (maschile=significante? femminile=significato?) fonda la sua metapsicologia nilsessuale su una sola pulsione: sulla pulsione di morte, interpretata come coazione a ripetersi del significante. Nel ferreo logocentrismo lacaniano il registro simbolico, essendo completamente autoreferenziale, non simbolizza nulla. In compenso, il "simbolico" – aggettivo sostantivato ma senza sostanza, che dovrebbe far posto alla Verità e alla Legge del soggetto – si presta bene a ospitare la dittatura, l'arbitrio nonché i capricci incontrollati del Super-Io. (Dopo aver espunto l'Io dalla seconda topica, come prodotto dell'immaginario speculare, la dottrina lacaniana svuota di contenuto anche l'Es, lasciando campo libero al Super-Io.) Tutto sommato, l'operazione semiotica di Lacan ha poco di scientifico e molto di prescientifico. Grazie al logocentrismo, infatti, il reale scientifico non tocca il sistema dottrinario lacaniano. Detto in lacanese, il reale è fuorcluso dalla psicanalisi lacaniana, dove con una certa coerenza si parla di reale come categoria logica che non cessa di non scriversi. Tous se tient.

In quanto allievo di Lacan, il mio compito è di correggere gli errori del maestro, magari in base a quanto lui stesso mi ha insegnato. In questo caso devo a Lacan l'avermi fatto intravedere la possibilità della psicanalisi scientifica – possibilità da lui stesso non valorizzata fino in fondo. (I maestri non sono "naturalmente" portati per la scienza, che è rivedibile. Preferiscono la dottrina, che è incontrovertibile). In contesto linguistico, in particolare, correggo la correzione di Lacan, riportando de Saussure all’interno del campo scientifico, dove la linguistica saussuriana può essere di aiuto alla psicanalisi scientifica, meglio della versione lacaniana. Propongo, insomma, di abbandonare la linguisteria di Lacan, la quale si basa sull’autonomia sfrenata del significante, giustificata da una sola ragione operativa: dare spazio all’arbitrarietà del maestro nella formulazione delle sue stramberie.

Segnalo in proposito e di proposito un autore, che nel suo capolavoro, Pensiero e linguaggio (1934), non nomina mai De Saussure, ma ne trasmette tutta intera la scientificità. E' un autore purtroppo rimasto a lungo nell'ombra, perseguitato come fu dal PCUS e quindi malvisto dal nostro PCI. Intendo Lev S. Vygotskij. Lo nomino qui, perché può aiutare lo psicanalista a uscire dalle fatuità logocentriche del lacanismo di scuola, basate sulla metafisica del significante e su tautologie del tipo il significante rappresenta il soggetto per un altro significante.

Nel primo capitolo dell'opera citata Vygotskij dà le indicazioni di metodo necessarie per affrontare da un punto di vista scientifico il problema che sta al centro di ogni psicologia: il rapporto tra pensiero e linguaggio. Tutto sta nell'individuare il livello giusto di analisi. L'analisi ci vuole, ma deve fermarsi prima di rompere le unità significative in elementi che non si possono più ricomporre in una sintesi sensata e feconda. Per spiegare la differenza che intercorre tra "unità" ed "elementi" fa l'esempio dell'acqua. La chimica dimostra che la molecola dell'acqua è composta da due elementi, idrogeno e ossigeno, che stanno tra loro in un certo rapporto. Ma se scendiamo con l'analisi fino agli elementi atomici, perdiamo irreversibilmente ogni possibilità di giustificare le proprietà fisiche dell'acqua. Dalla composizione atomica elementare in idrogeno e ossigeno (due gas) non possiamo più risalire ai "fatti": al fatto che l'acqua è liquida e ricopre i tre quarti del pianeta terra. L'analisi non va spinta fino agli elementi atomici, ma deve fermarsi alle unità molecolari. Analogamente il segno linguistico non va rotto nei suoi elementi costitutivi: il significante e il significato, il suono e il concetto, pena perdere il suo "significato", che è quello di veicolare una certa generalizzazione e semplificazione del reale, indispensabile alla vita di relazione dei parlanti. La nozione di significato come generalizzazione a classi di referenti e non come riferimento al singolo referente è importantissima dal punto di vista epistemico. L'atto verbale è un atto di pensiero che è matematico in miniatura. Non dice la cosa, ma fa esistere una classe di cose, dotate di certe proprietà caratteristiche. In questo senso l'atto verbale è contemporaneamente causa ed effetto del lavoro umano. L'organizzazione del lavoro umano procede di pari passo con l'organizzazione linguistica e questa a sua volta si sviluppa in parallelo alle diverse possibili generalizzazioni, che i singoli termini verbali offrono. Quando dico "pezzata olandese" generalizzo una varietà di bovini, adatta per certi usi e per certe produzioni zootecniche, stabilite dall'uso e praticate da certe culture.

Analogamente l'analisi dei suoni linguistici non può essere spinta a livello fisico delle onde sonore ma deve arrestarsi alla combinatoria dei fonemi, che sono le unità giuste per distinguere i suoni linguistici dai non linguistici, nel senso che ogni lingua ha i propri fonemi distinti dai fonemi di altre lingue, che il bambino impara a manipolare imitando i grandi.

La lezione di Vygotskij è una lezione di prudenza e praticità, che il logocentrismo è pronto a dimenticare in nome del fanatismo degli elementi. Elementi è il titolo del primo libro di geometria della civiltà occidentale che ha inquinato ideologicamente – in senso metafisico – tutta la successiva produzione di pensiero, non solo matematico.

Come esercizio teorico astratto, ma non inutile, per implementare a livello formale una piccola parte delle indicazioni "semantiche" di Vygotskij, propongo – come una delle possibili ma non l'unica – la seguente assiomatizzazione della linguistica saussuriana (limitatamente alla componente sincronica e sistematica):

Una formalizzazione della linguistica saussuriana sincronica.

Essa ha un unico interesse: segnalare, evidenziandoli nella formalizzazione, i capovolgimenti arbitrari, per non dire erronei, e gli innesti di uno strutturalismo apocrifo – il malfamato algoritmo S/s, cioè Significante su significato, proposto da Lacan in Istanza della lettera (Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 497) – introdotti surrettiziamente nel pensiero del linguista ginevrino, della cui opera compromettono la scientificità. Quindi, nel mio lavoro non troverete il “significante senza significato”, ma il “significato senza significante”. Non troverete il significante della mancanza dell’Altro, né la fuorclusione del significante dal simbolico e sua caduta nel reale. Non troverete l’ennesima applicazione del principio di ragion sufficiente sotto forma di effetti di significato, causati dal significante. Vi troverete, invece, una serie di assiomi che circoscrivono il potere espressivo della lingua, ma non lo sostanzializzano nel significante. (Per definizione, una teoria assiomatica, essendo compatibile con diverse semantiche, non è sostanzialistica. Vedi la pagina su von Neumann). Vi troverete restituita a dignità scientifica l’immagine sonora del significante, che nella dottrina lacaniana è stato figé nella formula logocentrica del “significante che rappresenta il soggetto per un altro significante”.

In fondo, e per semplificare al massimo, la mia correzione si riduce a una sola rettifica: non ridurre il significante alla lettera. “Nous désignons par lettre ce support matériel que le discours concret emprunte au langage » (Cfr. J. Lacan, L’instance de la lettre dans l’inconscient ou la raison depuis Freud (1957), in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 495). No, rifiuto questa riduzione per due ragioni: una di fatto e l’altra di principio.

Primo – il fatto. Lacan trasgredisce la raccomandazione di de Saussure, di non confondere il significante con lo scritto (“Lingua e scrittura sono due sistemi distinti di segni; l’unica ragion d’essere del secondo è la rappresentazione del primo; l’oggetto linguistico non è definito dalla combinazione della forma scritta e parlata; quest’ultima costituisce da sola l’oggetto della linguistica”. F. de Saussure, Corso di linguistica generale, trad. T. de Mauro, Laterza, Bari  1987, p. 36.).

Secondo – il principio. Lacan fonda il logocentrismo della propria dottrina sulla scrittura del significante come lettera. Si tratta di una vera e propria sostanzializzazione. Che tale sostanzializzazione avvenga, poi, attraverso la scrittura (sempre sacra!) apre scenari di violenza, che solo in parte Derrida ha descritto nel suo saggio Violenza e metafisica (Cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza (1967), trad. G. Pozzi, Einaudi, Torino 1971, pp. 99-198). Trascuro di parlare qui – perché mi porterebbe fuori tema – della violenza insita nella pratica della formazione psicanalitica, "alla lettera" ridotta a conformazione alla lettera della dottrina. (Ciò avviene in tutte le scuole di psicanalisi, non solo in quella lacaniana). Infine, optando per il logocentrismo e dimenticando che il significante non è la lettera, ma è il semplice materiale psicosomatico a servizio del linguaggio parlato dal soggetto (parlato, non scritto!), Lacan rende il linguaggio una funzione astratta, non più a servizio del concreto soggetto parlante, contestualizzato nella propria concreta comunità linguistica. L'astrazione logocentrica rende difficili almeno tre cose:

1. pensare il rapporto del linguaggio con il corpo. Di fatto manca in Lacan una teoria del corpo. Occasionalmente si limita a fare allusioni metaforiche del tipo: "Le réel, dirai-je, c’est le mystère du corps parlant, c’est le mystère de l’inconscient" (J. Lacan, Le Séminaire. Livre XX. Encore, (1972), Seuil, Paris 1975, p. 120).

2. concepire l'atto analitico come atto linguistico effettuale, cioè come fatto performativo nel senso di John Langshaw Austin (Come fare cose con le parole (1962), trad. C. Villata, Marietti, Genova 1987. NB. La lezione di Austin ad Harvard risale al 1955, ma fu pubblicata postuma solo nel 1962).

3. sceverare i rapporti tra soggetto individuale e collettivo, che pure Lacan ha avuto il merito di individuare sin dai tempi del tempo logico (Le collectif n'est rien, que le sujet de l'individuel. Ecrits, p. 213n).

Tutto il resto – anche il mio modesto lacanismo "riformato" – dipende da questa piccola correzione: il significante non è la lettera scritta. Per esempio, essa comporta la profonda revisione della teoria della metonimia, come concatenazione di lettere, e della metafora, come sostituzione di una lettera con l’altra. E qui bisogna tornare alle radici: alle originali Verschiebung e Verdichtung freudiane, che sono ben più ricche di potenziali effetti soggettivi degli astratti algoritmi lacaniani. Freud non parla di “significato” ma di “rappresentazione di cosa” (Sachvorstellung); non parla di “significante” ma di “rappresentazione di parola” (Wortvorstellung). Soprattutto non postula la supremazia dell’una sull’altra. Questa è la condizione saussuriana per avviare una linguistica scientifica dell’inconscio. Che in Lacan è rimasta lettera morta.
Certo, per far rivivere la linguistica dell’inconscio una buona idea è ripartire dal saggio metapsicologico L’inconscio, magari riformulando le topiche freudiane. Una curiosità etimologica : in tedesco “lettera” si dice Buchstabe, letteralmente “asta del libro”. In vista di una linguistica senza lettera, si tratta di inaugurare una scienza dell'asta ma senza libro… canonico. In ultima analisi, la dottrina del libro – gli Ecrits come Ecriture – ha generato la pseudolinguistica della lettera, che ha ucciso lo spirito dell’inconscio. Ed era pure una lettera rubata…

(Suggerimento di ricerca, tratto dal saggio di Frege, Funzione e concetto (Funktion und Begriff). Una lettera, a, rappresenta in modo indeterminato (algebrico) un singolo numero (o valore). Una lettera “bucata” rappresenta in modo indeterminato (estensionale) una generalità di numeri (o valori). Si chiama funzione e la si indica con la lettera f. Il "buco" della funzione è il posto dell’argomento x. La lettera f della funzione rappresenta la generalità dei numeri che formano il decorso dei valori della funzione. Ognuno di essi è il valore della funzione f(x), che di volta in volta si determina in corrispondenza al valore dell'argomento x. Allora Frege dice che la funzione viene saturata dall'argomento. Con il dogma clinico secondo cui “une analyse ne progresse que du particulier au particulier” (Ecrits, p. 386), corollario e anticipazione della dottrina della lettera (dimostrarlo per esercizio), Lacan si preclude ogni teoria delle generalità. Lo dimostrano i pasticci che ha combinato in seguito con il “non tutto” – pasticci in gran parte riconducibili al determinismo della lettera, per certi versi più esecrabile del determinismo della fisica ottocentesca, eredita dalla metapsicologia freudiana.)

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