LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE SINCRONICAMENTE"
creata il 9 settembre 2007 aggiornata il 15 settembre 2011

 

 

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Non si può trattare Freud senza riferimenti a Jung, perché Jung rappresenta la verità negativa di Freud. Lo junghismo rappresenta la degenerazione del freudismo, quando si lasci decadere la congettura fondamentale della rimozione originaria, cioè quel sapere che non “salirà” mai alla coscienza. Al posto della rimozione originaria compare in Jung una fantasmagoria di archetipi, che a stento si possono riconoscere come fatti psichici. Lo stesso Freud fu tentato dallo junghismo, per esempio in Totem e tabù, una delle sue opere peggiori, cioè più mitologiche. (Correva l’anno 1913, l’anno del distacco di Freud da Jung).

In proposito segnalo la disonestà intellettuale di Freud, che in Totem e Tabù dedica l’intero primo capitolo all’Inzestscheu, in italiano tradotto “Orrore per l’incesto”, mentre in tedesco ha un significato meno forte (timore, ritrosia, soggezione). Ma in tema di incesto Freud non cita Artemidoro, che pure conosceva bene sin dai tempi della Traumdeutung, per averlo citato e commentato. Infatti, nella fattispecie dell'incesto Artemidoro avrebbe potuto confutarlo, in quanto considerava il sogno dell’incesto tra madre e figlio come sogno premonitore di eventi favorevoli al sognatore, nel senso che preannuncerebbe suoi successi socio-politici nella madre-patria. Il freudiano ha la licenza di non condividere la tecnica oniromantica di Artemidoro – per altro ultradeterministica come quella freudiana, ma proiettata al futuro invece che al passato – ma dovrebbe onestamente riconoscere lo statuto di congettura solo probabile al “complesso di Edipo”.

Parallelamente, non meno grave si dimostra la disonestà intellettuale di Jung che, nella prefazione alla quarta edizione del settembre 1950 al suo fondamentale La libido: simboli della trasformazione (prima edizione del 1912 in concomitanza con il distacco da Freud), attribuisce a un padre della Chiesa del V secolo, Vincenzo da Lerino, la definizione di mito che serve al caso suo. Il mito sarebbe per Jung, che cita le parole di Vincenzo, quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur. La citazione sarebbe per lo meno tendenziosa, per non dire del tutto fuori posto, perché quel padre non pensava minimamente ai miti, che verosimilmente non apprezzava molto, ma, pronunciando quelle parole, si riferiva al deposito della fede comune a tutti i credenti. Ingannare il padre sarebbe prerogativa del figlio. Jung inganna il padre per conferire una parvenza di universalità scientifica al proprio strologare mitologico e alchemico.

Allora, parliamo un po' di Jung per affilare la critica al freudismo.

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Chi mi vuole scrivere una pagina su Jung?

Un consiglio, se hai deciso di scriverla.

Perché non parti dal saggio di Wolfgang Pauli, Aspetti scientifici e gnoseologici del problema dell'inconscio (1954), in Id., Fisica e conoscenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pp. 125-140? Ma cfr. anche Wolfgang Pauli, Psiche e natura, Adelphi, Milano 2006. Si sa che Pauli (1900-1958) ebbe un'infelice esperienza di psicanalisi junghiana e una lunga corrispondenza con Carl Gustav Jung (W. Pauli - C.G. Jung, Ein Briefwechsel, 1932-1958, a cura di Carl A. Meier, Springer, Berlin 1992).

Inoltre, potresti prendere in considerazione la prefazione di Jung (1949) al libro dei Ching (Adelphi, Milano 1991). In questo saggio il maestro di Zurigo supera decisamente il maestro di Vienna, relegando tra i ferri vecchi del pensiero occidentale il principio eziologico di ragion sufficiente. I suoi nessi acausali e il suo principio di sincronicità hanno una lontana affinità con l'indeterminismo della fisica quantastica, portato a conoscenza di Jung da Pauli. Ma è presto per decretare che Jung fu più scientifico di Freud. Fu solo meno ippocratico.

E potresti commentare questo fatto curioso. Freud, pensatore (un po') più scientifico di Jung ebbe tra i suoi corrispondenti prevalentemente letterati e umanisti. (Ebbe anche Einstein, è vero, ma non seppe come pelarlo). Per contro, Jung, pensatore (un po') meno scientifico di Freud ebbe tra i suoi corrispondenti anche un premio Nobel per la fisica. Certamente Jung fu meno dogmatico (ma anche più confuso) di Freud. Probabilmente Freud fu traumatizzato nei confronti della scienza dal suo transfert con Fliess. Il ragionamento di Freud fu verosimilmente questo: "Se gli uomini di scienza sono tutti come questo sturanasi di Berlino..." Se è vero, Freud commise un errore di giudizio molto comune, ma non degno della sua intelligenza. Ritenne che la medicina fosse una scienza e i medici degli scienziati.

Una linea possibile per trattare la differenza Freud/Jung potrebbe essere quella di ricondurla alla differenza delle specializzazioni di partenza.

Freud era neurologo, per la precisione neuropatologo, quindi di mentalità fortemente eziologica. La sua equazione di base era Grund = Ursache, fondamento = causa, o "prima cosa", in tedesco. In quanto eziopatologo - e non ricercatore scientifico - Freud cercava le cause dappertutto: dalle psiconevrosi alla interpretazione delle associazioni libere (per esempio, la causa è il contenuto latente del sogno e l'effetto è il contenuto manifesto).

Riflesso terapeutico: la cura psicologica è per Freud l'eliminazione dei fattori eziologici delle malattie mentali, tipicamente l'elaborazione psichica dei traumi e dei fantasmi sessuali.

Per contro, Jung era psichiatra, quindi non cercava le cause delle malattie mentali, ma le strutture psichiche: dai complessi agli archetipi, di cui ultimamente aveva intuito - grazie alla frequentazione di Pauli - la natura probabilistica. Quasi mi spiace ammetterlo, ma devo riconoscere che, in quanto acausale, Jung era più vicino alla scienza di Freud. Benché fosse meno chiaro e distinto di Freud, nonché addirittura fenomenologicamente atteggiato, come ogni psichiatra dell'epoca - l'archetipo dell'ombra rientra nella metafisica della luce, fondamento di tutta la fenomenologia - resta il fatto che Jung aveva imboccò la strada giusta - scientifica - della ricerca psicologica, mentre Freud rimase sul sentiero della pratica medica prescientifica.

Riflesso terapeutico: la cura psicologica è per Jung l'acquisizione di un nuovo equilibrio tra i vari fattori che costituiscono la sincronia psichica.

Devo questa precisazione a chi sospetta che il mio progetto di una psicanalisi scientifica non abbia ricadute terapeutiche. Queste esistono, benché non siano immediate e, soprattutto, non siano codificabili in una prassi di cura, indipendente dalla scienza.

*

Recentemente – 12 dicembre 2009 – in occasione della presentazione del n. 343 di "aut aut" su

"Leggere Lacan oggi"

presso la sede dell'AIPA di Milano

ho avuto modo di riflettere e di discutere con gli interessati sull'opportunità che gli junghiani studino Lacan, non tanto e non solo per le affinità tra i due autori (il linguaggio è l'archetipo di Lacan), quanto perché Lacan porge loro la verità dello scisma Jung/Freud. Sia Jung sia Lacan, infatti, hanno il grande merito di farla finita con l'apparente scientificità freudiana della termodinamica della libido, della metapsicologia delle pulsioni e del fattore quantitativo, travestita da psicopatologia medica, a sua volta costantemente orientata alla ricerca delle cause e alle localizzazioni dei processi morbosi psichici.

Una parziale registrazione dell'evento è in

Leggere Lacan oggi

Differenze tra Freud e Jung

Oggi, dopo una certa frequentazione di colleghi junghiani, mi sono fatto una certa idea più precisa sullo junghismo in rapporto al freudismo, che a me interessa di più. Provo a dirne qualcosa.

Sia Freud sia Jung sono pensatori mitologici. La differenza tra i due è che Freud fa della mitologia senza cadere nella mistica, mentre Jung, che sfrutta più a fondo di Freud il campo mitologico, scade molto volentieri nella mistica, intesa però in senso alchemico: un senso che, per mia formazione intellettuale, a me ripugna. Noto en passant che magia e alchimia hanno conosciuto momenti di gloria proprio agli albori dell'epoca scientifica, al punto da ostacolare il decollo del discorso scientifico. (Le pagine alchemiche di Newton superano di gran lunga in numero quelle scientifiche.) Quindi, a tutti gli effetti, l'alchimia di Jung è un regresso storico. Non solo non è postmoderno, nell'accezione di Lyotard, ma Jung è addirittura premoderno.

Attualmente a favore dello junghismo, inteso come sovrapposizione della dimensione mitica con quella mistica, sta la poderosa speculazione teologica di Raimon Panikkar, che esplicitamente dichiara il proprio atteggiamento antiscientifico: “Soltanto di recente la mitologia ha rinunciato alla sua pretesa di essere una scienza e ha riscoperto che il suo ruolo è ancora una volta  quello di ‘narrare’ il mito: mython legein. Si tratta di una mito-logia demito-logizzata” (R. Panikkar, “Mito, simbolo, culto”, in Id., Opera Omnia, IX/1, Jaca Book, Milano 2008, p. 29).

Lamento con Bruno Latour che "Non siamo mai stati moderni" e cerco di riformulare il concetto nei miei termini, certamente meno categorici di quelli di Panikkar. Oggi è difficile essere a favore delle concezioni freudiane della vita psichica. Sono troppo medicali senza essere scientifiche. Si capisce, allora, perché prevalgano, per esempio negli USA, concezioni umanistiche alla Jung, che mettono al centro della teoria la dimensione narrativa, o diacronica, della verità così come è narrata dai miti delle diverse civiltà. La verità sincronica, o scientifica, oggi è in decadenza: o langue o è relegata nella tecnologia. Tuttavia, a onor del vero, va detto che una sua parvenza di rinascita si registra negli ipertesti di Internet, che popolano le pagine di Facebook e dei vari blog. Chi vivrà vedrà. Vedremo, grazie ai server, un rilancio di quel Umanesimo matematico dei Francesco Maurolico, dei Luca Valerio, dei Guidubaldo dal Monte, dei Bonaventura Cavalieri, autori tuttora ignoti, che hanno "riformato" la matematica euclidea con innesti archimedei e costituiscono il vanto del Rinascimento italiano, non meno di tanti famosi artisti e letterati? Quale ministro dei Beni culturali mi organizzerà un convegno sull'Umanesimo non letterario?

Dal punto psicanalitico la contrapposizione fondamentale tra Freud e Jung non risiede tanto in quella sbandierata dai due maestri e ribadita pedissequamente da allievi ed epigoni e cioè la querelle sulla natura dell’energia psichica, che sarebbe sessuale in Freud e generica in Jung. La vera differenza emerge chiaramente in Freud dopo la rottura con Jung ed è formulata nei saggi metapsicologici del 1915 sulla Rimozione SFGW, X, p. 250) e sul Inconscio (SFGW, X, p. 280). Si tratta della Urverdrängung. In Jung non esiste rimozione originaria. Il rimosso è sempre rimosso dall’Io, che fa “scendere” nell’inconscio la rappresentazione sgradita. Esistono secondo Jung rappresentazioni che non sono mai “salite” alla coscienza, ma sono quelle archetipali dell’inconscio collettivo. Si tratta, tuttavia, sempre di una rimozione diacronica, che avviene nel tempo, collettivo invece che individuale, con una agente rimuovente (l’Io individuale o collettivo) e una rappresentazione che viene rimossa dalla coscienza. Nulla a che fare con il meccanismo sincronico della rimozione originaria, sulla quale è bene tornare al testo di Freud:

“Abbiamo pertanto motivo di supporre una rimozione originaria”, una prima fase delle rimozione, la quale consiste nel fatto che al rappresentante (della rappresentazione) della pulsione è interdetta l’assunzione nel conscio. Con questa rimozione si istituisce una fissazione; da allora in poi il rappresentante corrispondente perdura immutabile, come pure la pulsione a esso legata. (Wir haben also Grund eine Urverdrängung anzunehmen, eine erste Phase der Verdrängung, die darin besteht, dass der psychischen (Vorstellungs-)Repräsentanz des Triebes die Übernahme ins Bewusste versagt wird. Mit dieser ist eine Fixierung gegeben; die betreffende Repräsentanz bleibt von da an unveränderlich bestehen und der Trieb an sie gebunden. (S. Freud, “Die Verdrängung” (1915), Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, Fischer, Frankfurt a.M 1999, p. 250. A proposito dell'enigmatico termine Vorstellungsrepräsentanz adotto la scrittura proposta dalla edizione critica della Studienausgabe, vol. III, p. 109).

Detto sinteticamente e semplificando drasticamente nel mio slang, Jung rimase in linea di principio diacronico e premoderno; Freud fu tendenzialmente sincronico e moderno, con frequenti ricadute nella diacronia letteraria del romanzesco. Jung fu una guru che sguazzava nelle verità narrative, prevalentemente mitologiche; Freud fu uno scienziato, che non sapeva bene come cavarsela con aride verità scientifiche, resisteva alla propria scienza e aveva nostalgia di tornare a scrivere casi clinici che si leggono come novelle.

La questione Freud/Jung non è puramente accademica. Ha risvolti sulla modalità dell'insegnamento della psicanalisi. Insegnare la psicanalisi raccontando delle storielle, più o meno fondative delle nostre civiltà, è senz'altro più facile che insegnare a congetturare sulle condizioni del pensiero che non si sa di pensare. Creare allievi identificati al maestro è senz'altro più facile – disponiamo di millenni di esperienza su questo modello – che promuovere un collettivo di pensiero dove circoli la libera critica. Per la libera critica ci vuole coraggio: il coraggio di abbandonare gli schematismi tradizionali di pensiero e di esporsi al vento del nuovo.

Per ulteriori approfondimenti rimando alla pagina

La psicanalisi è umanistica?

In conclusione, riassumo il confronto Freud/Jung.

Freud e Jung non furono così tra loro contrapposti come gli allievi e gli epigoni vollero farci credere. (Per la verità, va ricordato che a esagerare le differenze sono stati e restano più accaniti i freudiani degli junghiani). Freud e Jung hanno in comune molto, anzi moltissimo: tutto il discorso mitologico. Il quale, tuttavia, non è comune solo a questi due pensatori, ma fa parte del senso comune. La mitologia immerge sia Freud sia Jung in un bagno comune: il millenario senso comune della civiltà occidentale, dove le differenze dei due pensieri “analitici” in gran parte si estinguono, direi che si stemperano, diventando banalità tradizionali. Il risultato del “bagno” mitologico è che sono più le cose che accomunano i due psicanalisti di quelle che li distinguono. Il risultato culturale dell'immersione nella mitologia è che sia freudismo sia junghismo sono diventate oggi psicologie più popolari che psicanalitiche. Sono psicologie "populiste", cioè discorsi che la gente ama fare e sentirsi raccontare. Ma proviamo a essere seri, a costo di essere impopolari.

I miti di Freud sono le pulsioni – come lui stesso riconobbe; i miti di Jung gli archetipi.

Quale mitologia preferire?

Nessuna delle due e per due ragioni: una generale, l’altra specifica.
Posto che il discorso mitologico è in generale da proscrivere in quanto non è scientifico, ma è una bastardaggine che nasce come ibrido dall’infelice connubio tra ontologia ed epistemologia, frutto primigenio della volontà di ignoranza dei soggetti individuali e collettivi, in particolare, i miti freudiani (l’edipo) e junghiani (gli archetipi) sono inaccettabili per una ragione specifica. Infatti, né le pulsioni freudiane né gli archetipi junghiani sono accettabili per il pensiero scientifico, in quanto si presentano sia le une che gli altri come travestimenti mitologici del principio di ragion sufficiente che, dopo Hume, è del tutto insufficiente a sostenere il discorso scientifico. I miti freudiani sono cause efficienti (le pulsioni sessuali) e cause finali (la pulsione di morte); i miti junghiani (gli archetipi) sono cause iniziali o originarie. Entrambe le mitologie sono forme di pensiero ilozoistico, che non hanno più ragion d’essere in epoca scientifica.

 

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