LA PSICANALISI SECONDO |
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"TU PUOI SAPERE, SE DIMENTICHI QUEL CHE SAI" |
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Hai fatto questo percorso: vieni da "psicanalisti" Sei in "Bion e le istituzioni psicanalitiche" Vuoi andare all'aggiornamento? Wilfred Ruprecht Bion
pagina curata da Adalinda Gasparini Il guaio di tutte le istituzioni – dell'Istituto Tavistock e di tutte le altre – è che sono morte, ma le persone che vi sono dentro non lo sono, anzi crescono, e qualche cosa deve succedere. (Bion) Wilfred Ruprecht Bion nacque a Muttra, in India, nel 1897. Lo si potrebbe considerare uno psicoanalista post-coloniale, data la sua doppia origine, come certi grandi scrittori contemporanei, ad esempio Salman Rushdie e Vikram Chandra. Il padre, ingegnere idraulico dell’Impero Britannico, era inglese, la madre indiana, come la tata. Bion trascorse l’infanzia tra i vasti paesaggi del Punjab, dove si muoveva sugli elefanti di proprietà della famiglia. A otto anni, come tutti i figli degli alti funzionari coloniali, venne mandato in collegio in Inghilterra, dove crebbe inun senso di isolamento, appassionandosi alle attività fisiche, in particolare il rugby. Dopo il diploma si arruolò come allievo ufficiale in un battaglione di mezzi corazzati e si trovò sul campo di battaglia di Cambrai, sotto il fuoco delle granate della grande Guerra. Nel 1918 fu congedato con il grado di capitano e una decorazione. Sul campo di battaglia aveva fatto esperienza della solidarietà fra gli uomini e degli imbrogli della gerarchia militare. Studente di medicina a Londra, si laureò nel 1932, e fu assunto come assistente alla Tavistock Clinic, dove si occupò di adolescenti con disturbi della personalità e tratti delinquenziali. Nello stesso periodo, su richiesta di Samuel Beckett, iniziò una terapia, durata circa due anni, che fu determinante per entrambi gli uomini, all’inizio della loro carriera. Bion scrisse che la propria madre era fredda, simile alle correnti d’aria nelle cappelle inglesi. La madre di Beckett non era meglio: era terribilmente critica verso il figlio, al quale rimproverava il comportamento quasi da barbone e l’alcolismo, senza apprezzarne le doti letterarie. Siccome le visite alla madre scatenavano in Beckett terrori notturni, apatia, e altri disturbi psicosomatici, dopo due anni di terapia Bion impose allo scrittore di interrompere i rapporti con lei. Il paziente interruppe invece la terapia. (Pare che per il suo primo romanzo, Murphy, Beckett si sia ispirato alla conferenza tenuta alla Tavistock Clinic, su invito di Bion, da C.G. Jung, che mostrava la corrispondenza fra i personaggi dei romanzi con le immagini mentali dei loro autori.) Bion entrò nel mondo psicoanalitico inglese nel 1937, iniziando un’analisi con John Rickman, allievo di Melanie Klein e membro della British Psychoanalytical Society. Ancora vergine a quarant’anni, Bion si sposò alla vigilia della seconda guerra mondiale, con un’attrice che sarebbe morta di lì a poco, dopo aver dato alla luce una bambina. Bion in seguitò si risposò. Non è difficile immaginare come Bion abbia maturato un forte spirito di indipendenza, dopo l’infanzia vissuta prima tra la madre gelida e il padre ingegnere dell’impero britannico, poi lontano dalla sua origine, nel collegio inglese, dove visse anche la sua adolescenza. Con questo bagaglio arrivò nelle Fiandre sotto i colpi dell’artiglieria nemica e del comando militare nella prima guerra mondiale, e dovette attraversare, una volta congedato, le accuse infamanti della madre di un suo alunno che lo costrinsero a lasciare il suo lavoro di insegnante. Dopo gli studi di medicina, come si è detto, dedicò il suo lavoro agli adolescenti disturbati, poi, durante la seconda guerra mondiale, questa volta come psichiatra, ebbe modo di osservare come tanti uomini soffrivano per la violenza sperimentata sul campo di battaglia e per l’umiliazione di esser rimandati in patria, inutili, se non dannosi, per il bene comune già difeso con le armi. * Concludendo “Al di là del principio di piacere”, Freud afferma, non senza una sorta di polemica a distanza con Jung e il suo principio di individuazione, di non credere all’esistenza di alcuna tendenza ‘naturale’ a migliorarsi. Per Freud si va avanti quando la via all’indietro è sbarrata. Nonostante non manchino le occasioni per constatare quanto Freud abbia ragione, e che qualsiasi eufemizzazione della condizione umana equivale a una rimozione, sembra difficile maturare la capacità di sopportare la totale mancanza di idoli e di cappelle - fredde o scostanti - o cattedrali psicoanalitiche. Forse solo una sofferenza nelle relazioni familiari vissuta come intollerabile, ripetuta con le persone che nelle vicende transferali prendono il loro posto, può consentire di rinunciare all’illusione che esistano un maître che legittima la propria preparazione e un contenitore che protegge dai pericoli connaturati al proprio lavoro e alla propria ricerca, come alla vita di tutti. Bion fece questo percorso. Nel 1945, iniziata un’analisi che sarebbe durata otto anni, dichiarò alla sua analista, Melanie Klein, che non avrebbe seguito nessuna forma di idolatria e che non avrebbe accettato nessuna forma di dipendenza. Ricorda Julia Kristeva che Bion venne supplicato fino alle lacrime perché riconoscesse il suo debito verso la Klein come caposcuola. (Julia Kristeva, 2000, Melanie Klein ou le matricide comme douleur et comme créativité; trad. Monica Guerra, Melanie Klein, la madre, la follia; Donzelli 2006; p. 237). Non possiamo considerare comunque una figura autoritaria come la Klein il maître, o la maîtresse, peggiore per un gruppo psicoanalitico. Il pericolo maggiore potrebbe essere rappresentato da leader, uomini o donne, di tipo reinfetante, che legano a sé le persone che cercano una difesa dal dolore di pensare. Si formano allora gruppi totalmente sterili, e si sviluppano vicende penose, che per la loro natura non diventano mai racconti pubblici. È storia comune dalla quale si può imparare qualcosa. A partire dal 1960, i lavori di Bion produssero una forte impressione nel mondo psicoanalitico, per la loro articolazione complessa e ampia, che strutturava il tentativo di rivedere e riformulare l’opera freudiana e i contributi di Melanie Klein, con l’accento decisamente posto sul linguaggio e il pensiero. Appoggiandosi alla filosofia kantiana, Bion divise l’apparato psichico in due funzioni mentali: la funzione alpha corrispondente al fenomeno, la funzione beta al noumeno (la cosa in sé, l’idea). Per Bion, la funzione alpha preserva il soggetto dallo stato psicotico, mentre la funzione beta lo espone ad esso. L’esperienza dei piccoli gruppi permise a Bion di affrontare il campo delle psicosi con l’aiuto dei vari concetti kleiniani ai quali egli aggiunse in particolare quello di oggetti bizzarri (particelle staccate dall’io e dotate di vita autonoma) o di ideogramma (iscrizione preverbale di un pensiero primitivo). D’altra parte, prendendo da Paul Schilder la nozione di immagine del corpo, sviluppò l’idea secondo la quale i gruppi e gli individui sarebbero composti da un contenitore e da un contenuto. Se, per un certo soggetto, il gruppo funziona come contenitore, ogni soggetto ha un contenuto in se stesso, o assunto di base, che determina le sue emozioni. Riguardo alla personalità psicotica, essa è come una componente normale dell’io. Come distrugge l’io impedendo tutte le forme di accesso alla simbolizzazione, coesiste al contrario con altri aspetti dell’io senza diventare un fattore distruttivo. Bion ha anche cercato di costruire un modello per la cura che ha chiamato griglia. Composto di un asse verticale di otto lettere (dalla A alla H), che connotano il grado di complessità dell’enunciato, e di un asse orizzontale di sei cifre (da 1 a 6), che rappresentano la relazione transferale, la griglia avrebbe dovuto permettere sia di aiutare il clinico nel suo ascolto, sia di dare una base “scientifica” alla pratica della psicoanalisi. (E. Roudinesco et M. Plon, Dictionnaire de la psychanalyse, Fayard, Paris 1997. Dalla voce Bion, pp. 119-122; trad. nostra). Dopo la morte di Melanie Klein (1960), Bion rifiutò di abbandonare la sua teoria dei gruppi, la cui originalità aveva un filo conduttore nel rifiuto del maître à penser. Se avesse accettato di assumere questo ruolo nella scuola kleiniana avrebbe fermato il cuore della sua esperienza e della sua teoria. Successivamente si trasferì in California e visse a Los Angeles, viaggiando frequentemente in Brasile e in Argentina, dove influenzò profondamente numerosi gruppi di psicoanalisti, la cui collocazione è nota come neo- o post-kleinismo. L’opera di Bion conosce una grande diffusione, con traduzioni in molte lingue. Clinico colto e brillante, riformatore della psichiatria militare, grande terapeuta delle psicosi e degli stati borderline, Wilfred Ruprecht Bion è stato l’allievo più turbolento di Melanie Klein, della quale ha rifiutato il dogmatismo per costruire una teoria sofisticata del self e della personalità, fondata su un modello matematico e attraversata da concetti originali - piccoli gruppi, funzione alpha, contenitore/contenuto, oggetti bizzarri, assunti di base, griglia, ecc. - che, per certi aspetti, somigliano a quelle di Jacques Lacan, suo contemporaneo. Come lui tentò di dare un contenuto formale alla trasmissione del sapere psicoanalitico appoggiandosi a formule ed espressioni algebriche, e come lui si appassionò al linguaggio, alla filosofia e alla logica, ma in una prospettiva che è apparsa prossima al cognitivismo. L'influenza del pensiero e dell’insegnamento di Bion è stata vasta e profonda in Gran Bretagna, anche se prevalente è il primo Bion, inteso nell'accezione kleiniana. I Paesi in cui l'insegnamento di Bion ha avuto maggior successo sono l'Italia e il Brasile. Il pensiero di Bion si sta diffondendo in questi anni in Francia, in particolare grazie al contributo di André Green, e negli USA, con l'apporto di Thomas H. Ogden e James S. Grotstein. Come Lacan, Bion dedicò la parte finale del proprio lavoro a dire l’indicibile, tentando di dar forma al carattere scientifico della psicoanalisi. Se il lavoro di Bion fosse riducibile alla celebre griglia, proposta nel 1963, se la stessa tensione in Lacan si fosse limitata alle figure topologiche, usate per illustrare la propria ricerca, il lavoro scientifico in area psicoanalitica di questi personaggi sarebbe da lasciare da parte come imbarazzante velleità. Tra gli allievi francesi di Bion si ricordano Didier Anzieu (già in analisi con Lacan) e André Green. In Italia l’influenza di Bion ebbe la massima espansione dal 1969 al 1974, quando Francesco Corrao, il suo interprete più attento, fu presidente della SPI. Nel Centro ricerche di gruppo Pollaiolo, a Roma, Bion fu ospite nel 1977. Da un quaderno redatto nel 1989, redatto durante la rilettura del suo seminario romano, ci torna la sua voce: Ci è permesso di sognare. Non è considerato altrettanto rispettabile avere un’allucinazione. […] Così, quando vi dico “Penso che qualcun altro dovrebbe parlare per un po’, per quanto selvaggio sia il suo pensiero, per quanto esso sia irrazionale, non-accettato, non-accettabile per il gruppo o per la persona”, mi sto aspettando, in realtà, che voi siate coraggiosi. […] (Qualche scheda da e su Bion in Psicoanalisi e crisi delle istituzioni, a cura di Eraldo Cassani e Giuseppe Varchetta, I quaderni di Ariele, Guerini e associati, Milano 1990; pp. 117-125). Durante lo stesso seminario, un analista accoglie successivamente l’invito a parlare delle proprie difficoltà nel lavoro e racconta di un paziente che dopo due anni d’analisi si ammala di una forma mortale di leucemia, della quale è informato solo in parte. Bion, al quale chiede come affrontare questa situazione, risponde: Per quanto mi riguarda, visto che non ci posso far niente, né la nascita né la morte mi interessano particolarmente; la gente nasce e muore, io stesso sono nato e muoio, sono eventi che non hanno la minima importanza, non sono nemmeno delle malattie. […] …Io posso dire che la sua morte non mi interessa più di quanto mi interessi la sua nascita; ma quel pezzettino piccolo tra nascita e morte, quello sì mi interessa. […] Ora, guardando questo particolare paziente, viene detto che sta morendo. Di nuovo, questo nonm’impressiona, perché stiamo tutti morendo, visto che in effetti siamo vivi. Ma mi interessa se la vita e lo spazio che rimangono sono tali che valga la pena di vivere o no. […] …C’è qualche scintilla sulla quale si possa soffiare fino a che diventerà una fiamma, così che la persona possa vivere quella vita che ha, per così dire, nella banca? (Ivi, pp. 126-127; grassetto nostro). Le parole di Bion ricordano testi sapienziali indiani, come la serie di enigmi posti al semidio Yudhìshtira da suo padre, il dio Dhàrma, nel poema induista Mahabharata: Voce (Dhàrma): - Sono più numerosi i vivi o i morti? Bion tornò in Inghilterra poco prima della morte, che avvenne nel 1979 per una forma di leucemia. Dispose che al momento della dispersione delle sue ceneri fossero letti alcuni suoi versi, che offrono un’eredità che possiamo ricevere fuori dalle chiusure scolastiche, nella ricerca comune: Dal momento che non posso più vedere il tuo volto Da sinistra: A. Freud, W.R. Bion, W. Strachey Pensiero senza pensatore Possiamo esprimerci così: esistono pensieri senza un soggetto. Cioè, che l'idea di infinito precede qualsiasi idea di finitezza. Il finito "esce dal buio e informe infinito" o, in parole più concrete, l'individuo è consapevole dell'infinito "sentimento oceanico" [Riferimento a Freud e Romain Rolland] e diventa poi cosciente della finitezza attraverso le esperienze fisiche e mentali di sestesso e delle varie frustrazioni. Per es. un numero infinito, o la sensazione dell'infinito, viene rimpiazzato dalla trinità. La sensazione dell'esistenza di un numero infinito di oggetti viene in tal modo sostituita dalla sensazione che ne esistono solo tre e lo spazio da infinito diventa finito. I pensieri che erano senza un soggetto vengono ad acquistare (o ad essere acquistati da) un soggetto. [...] Il paziente affetto da quelli che di solito si chiamano disturbi del pensiero darà esempi comprovanti che ogni interpretazione che l'analista gli fornisce è in realtà un pensiero che apparteneva a lui. [...] Questo suo convincimento viene a comprendere anche quella che in pazienti meno gravi compare come situazione edipica. Nella misura in cui ammette i fatti relativi al rapporto sessuale o al rapporto verbale fra sé e l'analista, egli non è altro che un mucchio di feci, ché è questo ciò che una coppia è in grado di produrre. Nella misura invece in cui egli considera la propria persona come creatore di se stesso egli è uscito dall'infinito. Le sue qualità umane (cioè i suoi limiti) sono dovute ai genitori, che con i loro rapporti lo hanno reso limitato, togliendogli i suoi originari attributi (quelli di Dio). Le varie ramificazioni di questo atteggiamento, che è reso più chiaro se l'analista postula dei "pensieri senza pensatore" sono talmente vaste che avrei bisogno di un altro intero volume per poterlo esporre convenientemente. Quantunque sia inadeguata, spero che questa formulazione sia in grado di aiutare il lettore a trovare una continuità in tutto quello che ho cercato di dire nei miei vari saggi. (W.R. Bion (1967), Second Thoughts. Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico; tr. S. Bordi; Armando Editore, Roma 1970; pp. 250-251).Rileggendo questo passaggio, vi si può riconoscere la sollecitudine dell'autore, che descrive quanto trova di originale nella propria elaborazione, riconoscendone il carattere insaturo e precario. Se si descrive il pensiero come se potesse esistere indipendentemente dall'articolazione soggettiva si può ottenere qualcosa di simile al pensiero senza pensatore, che ha il carattere scisso e potenzialmente destrutturante degli elementi beta, finché non si incontrano con la funzione alfa, contenitore. Si potrebbe intendere Bion come cognitivista, in quanto presuppone una mente - non necessariamente individuale. Ma intendere Bion come cognitivista significa non cogliere in lui l'eredità freudiana: l'interesse di Bion si rivolge ai processi di pensiero in quanto secondari rispetto all'Affekt. Se lo psicoanalista si prende cura del pensiero del paziente, senza separarlo dal proprio pensiero, in continua trasformazione, è perché attraverso il lavoro d'analisi può cogliere le formazioni dell'inconscio, non certo per astrarlo da queste, come se potesse esistere in una nuova location iperuranica. Il lavoro d'analisi consiste nello sviluppo dell'apparato per pensare, che implica la possibilità di mentire e di tollerare la menzogna dell'altro. In altri termini, di sopportare la condizione adulta, che riconosce il linguaggio come valore perché consente il fraintendimento non meno della comprensione. Questa accezione implica una costante responsabilità soggettiva verso sé e verso gli altri, e la capacità di usare il linguaggio metaforico senza scambiare i miti, le fiabe, i romanzi, con ciò che mettono in scena. Se si attribuisce alla metafora un grado di verità superiore alla formula, si rischia un radicale fraintendimento, ad esempio nel lavoro sui sogni. Se si dimentica quanto somigliano a un rebus, complesso a piacere, si leggono come messaggi contenenti una verità superiore a quella della coscienza. Bibliografia: http://it.wikipedia.org/wiki/Wilfred_R._Bion http://www.libreriauniversitaria.it/libri-autore_bion+wilfred+r-bion+wilfred+r.htm
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