LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU NON NE VUOI PROPRIO SAPERE DI SAPERE"
creata il 17 dicembre 2007 aggiornata il 15 febbraio 2010

 

 

 

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Il grande resistente alla scienza

Prima di affrontare la lettura di Heidegger, per resistere al fascino cui è predisposto, specie se è lacaniano o junghiano, è bene che l'analista sappia due o tre cose sul conto del "pastore dell'essere".

Attraverso la verità dell’essere, che supera la metafisica dell’ente, passando alla metafisica dell’essere, Heidegger sterilizzò l’operazione cartesiana di separazione della verità dal sapere. Operazione che assegnava la verità al dio (non) ingannatore e il sapere all'umile trasformatore di incertezze in certezze: il soggetto della scienza. Il risultato fu la ricaduta della filosofia nella teologia. Heidegger fu un teologo senza dio. Di questo riflusso si hanno tracce consistenti persino nella dottrina lacaniana della fuorclusione della verità e della soppressione ideologica del soggetto a opera della scienza. (Cfr. J. Lacan, Radiophonie, in "Scilicet", 2/3. Seuil, Paris 1970, p. 89.) Il rischio è che, seguendo Heidegger e i suoi epigoni, si diventi criptoteologi, cioè cultori dell'Uno.

"La scienza non pensa", dichiarava Heidegger.

(Cfr. M. Heidegger, Che cosa significa pensare? trad. U. Ugazio e G. Vattimo. Sugarco, Milano, 1988, p. 41)

Ma se censuri la scienza ti esponi alla teologia in teoria e al totalitarismo ideologico in pratica.

Di seguito presentiamo gli scritti più significativi del logocentrismo heideggeriano

Logica

Logos

A testimonianza della sintonia di Lacan con Heidegger dovrei aggiungere la traduzione di Lacan,

pubblicata in "La Psychanalyse", 1, 1956, pp. 52-79 (ultima parte non tradotta), in attesa dell'autorizzazione di J.-A. Miller.

Logos trad Lacan

L'affinità tra i due autori è testimoniata anche dalle rispettive conferenze sulla cibernetica.

Esse illustrano l'epistemologia di marca fenomenologica di una "scienza supposta rigorosa",

cioè tale che reintroduca il soggetto fuorcluso dalla scienza.

Tale epistemologia è di fatto pleonastica, perchè la scienza ha da sempre il suo soggetto e non c'è bisogno di reintrodurlo. Essa si articola in due momenti: un momento negativo (la riduzione della scienza a tecnologia) e un momento positivo (l'introduzione di un determinismo essenzialista di stampo aristotelico).

La cibernetica secondo Heidegger

La cibernetica secondo Lacan

E' curioso, a più di mezzo secolo di distanza, notare che questi due grandi fenomenologi, Heidegger e Lacan, quando sentono il bisogno di confrontarsi con la scienza (per il primo il confronto è con la tecnoscienza, a cui si sarebbe degradato nei secoli l'impulso filosofico), si riferiscano alla cibernetica, oggi non più tanto di moda. Forse una ragione, legata alla struttura del loro modo di pensare, si può trovare. Il pensiero di entrambi questi pensatori è eziologico. Il filosofo pensa l'evento dell'essere nel linguaggio. Lo psicanalista pensa il desiderio causato dall'Altro Grande, ancora una volta il linguaggio. Al centro del loro pensiero c'è la Grande Causa Logocentrica (nel caso di Lacan vedi Un logocentrismo particolare). A fronte di queste posizioni pesantemente ontologiche la cibernetica offre un'apertura "scientifica" alla nozione di causa attraverso i dispositivi di feedback, dove l'effetto retroagisce sulla causa, in un certo senso istituendola a posteriori. Ci starebbe, pertanto, la nozione di causa – questo mana factotum del pensiero prescientifico, secondo Marcel Mauss – all'intersezione di filosofia, psicanalisi e cibernetica. Il riferimento aristotelico è evidente nel Principio di ragione di Heidegger. In Lacan il riferimento eziologico fa un giro più lungo che in Heidegger. Nella conferenza citata Lacan risale fino a Pascal (1654), che con il suo triangolo aritmetico fonda il calcolo delle probabilità, per affermare che esso non sarebbe da intendere come calcolo della casualità (hasard), ma come calcolo delle chances, definite come possibilità di incontro tra soggetti, presi nel gioco dell'intersoggettività – per esempio nel gioco di pari e dispari. Ogni incontro determinerebbe categoricamente degli effetti soggettivi ben precisi, che non sarebbero per ciò stesso lasciati al caso, inteso aristelicamente come tuché o fortuna. Sciocchezze prescientifiche, ormai senza futuro. (Marcel Mauss parlerebbe di "eccessi" della psicanalisi. In effetti si tratta di semplice resistenza alla scienza.)

Avendo in modi diversi rimosso Cartesio, a entrambi gli autori logocentrici sfugge un particolare caratteristico della nostra civiltà scientifica. (La disattenzione rende la loro analisi dell'attuale civiltà fragile.) La nozione di informazione, su cui si basano la cibernetica di un tempo e l'attuale informatica, nasce dal trattamento (superamento) probabilistico dell'incertezza. Il processo è di stampo cartesiano. Guadagna un quanto di informazione come "certezza media" (misurata in bit), calcolata su tutti i possibili esiti del fenomeno, ciascuno incerto in sé. Il processo che porta dal dubbio alla certezza dell'informazione è simile a quello che "guadagna" la certezza dell'esistenza del soggetto della scienza in condizioni di incertezza generalizzata. La nozione di informazione non può essere confinata nella tecnoscienza, come campo neutralizzato dal potere e destinato alla produzione capitalistica. (Ancora oggi leggo sulla stampa quotidiana che esisterebbe un binomio avaloriale "scienza-tecnica"). C'è un assetto cartesiano, tanto etico quanto scientifico, nel paradigma informativo che va rispettato, pena l'inefficacia dell'analisi.

*

Dell'operazione fenomenologica di resistenza alla scienza val la pena fissare alcuni tratti che la rendono facilmente riconoscibile.

I) Il fenomenologo ha un'immagine falsa della scienza. La scienza sarebbe il pensiero calcolante e misurante. Il fenomenologo ignora - vuole ignorare - che la scienza metacalcola e metamisura. Per lui la teoria della relatività è una faccenda di come misurare i tempi, ignorando il tempo ontologico dell'essere. Lui, invece, ignora effettivamente che i tensori relativistici esprimono le condizioni "trascendentali" per misurare il tempo e, soprattutto, dicono che non esiste il tempo assoluto.

II) Il fenomenologo confonde scienza con tecnologia, in particolare con cibernetica. Nel suo furore anticartesiano e antiilluministico - degno di miglior fede - il fenomenologo fa di ogni tecnica un fascio e butta nella discarica della civiltà tutto lo sforzo epistemico dell'umanità.

III) Cavallo di battaglia della fenomenologia è la difesa della metafisica, come luogo della verità. La fenomenologia contesta alla scienza di voler monopolizzare la verità, una pretesa che la scienza non ha più dai tempi - quasi quattro secoli fa - in cui ha abbandonato la verità tra le ginocchia di dio, optando per la certezza pratica. Ma il fenomenologo non sembra molto aggiornato. In realtà la sua ignoranza è volontà di ignoranza. Non si cura con corsi di aggiornamento.

Uscirà entro il 2008, a un quarto di secolo dalla pubblicazione del suo manifesto, un'opera di valutazione complessiva del "pensiero debole", intitolata appunto "Il soggetto debole", tesi di dottorato di René Scheu. Il nucleo dell'analisi è il riconoscimento del soggetto da parte della fenomenologia - un riconoscimento più che altro implicito, nascosto com'è tra le pieghe dell'epoché e del tortuoso Denkweg heideggeriano. Sì, ma di quale soggetto tenta il salvataggio questa "fenomenologia debole"? In trecento pagine e più non si accenna al fatto che dopo Cartesio il soggetto moderno è quello della scienza. Una debolezza del pensiero debole?

Bisognerebbe mobilitare l'UNESCO perché dichiari la scienza patrimonio dell'umanità e crei un "parco naturale delle scienze", dove mettere finalmente il soggetto della scienza (e dell'inconscio) al riparo dall'inquinamento ontologico della fenomenologia. Ma su questo punto non bisogna illudersi. L'ontologia, non la scienza, serve al potere. E' l'ontologia, non la scienza, che dice le cose come stanno. E per questo l'ontologia è più utile al potere di qualunque brevetto tecnologico. Una filosofia così misera come quella heideggeriana andrà sempre incontro al consenso popolare, governato dall'alto ai fini della conservazione dello status quo. Vengono quasi da rimpiangere i bei vecchi tempi del materialismo storico.

D'altra parte nel campo della filosofia analitica il soggetto della scienza non sembra stare molto meglio. A difesa del primato della dimensione epistemica sull'ontologica, quindi a difesa dell'"io so" dagli attacchi dell'"io sono", la filosofia analitica di Oltre Atlantico non ha saputo fare di meglio che inventare e perseguire un programma di (pseudo)ricerca intitolato "Intelligenza Artificiale".

Nei cui confronti Hilary Putnam (1926), inventore del funzionalismo e oltre, si esprime senza mezzi termini nell'intervista concessa a "il manifesto" il 16 dicembre 2007:

"Mi spiace dirlo, ma il termine 'Intelligenza Artificiale' è niente di più di uno slogan con il quale Marvin Minsky cercò, e ottenne, congrui finanziamenti da investire in una serie di fantasiosi programmi di ricerca. Il maggior successo raggiunto in questo campo di indagine ha riguardato i cosiddetti Information Retrieval System, i sistemi che permettono il recupero delle informazioni [archiviate]. Ma anche questo risultato, per quanto importante, non ci ha per nulla avvicinato al traguardo della simulazione dell'intelligenza umana in una creatura artificiale. In proposito basti pensare che tale creatura dovrebbe padroneggiare una lingua naturale".

Chi mi scrive una pagina su Putnam, magari a partire dal teorema epistemicamente interessante delle interpretazioni intensionalmente discordanti, ma estensionalmente concordanti? (Cfr. Hilary Putnam, Ragione, verità e storia (1981), trad. A.N. Radicati di Brozolo, Il Saggiatore, Milano 1985, in particolare il Cap. II Un problema sul riferimento, pp. 29-56 e l'appendice).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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