LA PSICANALISI SECONDO |
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"TU PUOI INTUIRE LA VERITA' DELLA COSA" |
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Vieni dalla pagina sull'oggetto. Sei in "versione intuizionista dell’oggetto". Qui si tratta della versione intuizionista della relazione oggettuale - come infelicemente la chiamano gli psicanalisti. L’atteggiamento epistemico di tipo costruttivista adottato in questo sito si riflette, infatti, anche nella concezione della relazione d’oggetto. In estrema sintesi e per meglio ricordare, l’oggetto è una costruzione soggettiva. Per chi abbia un’esperienza autentica di analisi questa è una banalità. Per gli altri possono essere utili le seguenti considerazioni sull’intuizionismo. L’espressione "costruzione mentale" è tuttavia infelice. Si presta a una critica di fondo. Se, nell’ipotesi di questo sito l’oggetto è infinito, come può la mente finita contenere un oggetto infinito? In realtà, quello di mente è a sua volta un costrutto mentale totalmente immaginario. Siccome c’è un pensiero, dato dal cogito, la mente – per ora solo l’astratto e mero “si” – suppone che esista una mente che lo pensi. La nozione di mente è però una fallacia, tipica del cognitivismo. La fallacia della mente si regge sul presupposto che esista un “piccolo uomo” dentro l’uomo, che sul monitor della televisione a circuito chiuso controlla quel che là fuori nel mondofa il “grande uomo”. Precisamente, si tratta du una fallacia di natura teologica, o nel migliore dei casi cibernetica, ultimamente eziologica. È, infatti, una congettura della serie delle congetture che “deducono” l’esistenza del divino architetto dall’esistenza del mondo o della causa prima dalle cause ultime. È vero: il soggetto è finito. (Sul tema puoi consultare il mio La mente che non c'è o The inexistent mind). Ma ciò non impedisce che il soggetto finito possa costruire oggetti infiniti attraverso una successione infinita di scelte (unendliche Wahlfolge), sostiene Brouwer. Tutto ciò che serve al soggetto finito è solo un po’ di tempo per realizzare la successione infinita delle scelte – con una certa non piccola velocità. Allora, beninteso, il tempo soggettivo dovrà essere un tempo epistemico, non cronologico. Nel tempo epistemico, infatti, non vale la legge dell'isocronismo del pendolo. Gli "istanti" epistemici non sono uniformemente distribuiti lungo l'asse temporale, ma si addensano man mano che si procede verso la conclusione. Si potrebbe dire che il tempo epistemico corre sempre più veloce man mano che avanza, quasi che fosse uniformemente accelerato. (Questa intuizione sul valore epistemico della "fretta" si trova anche in Lacan, che la formula in termini fenomenologici). Il tempo epistemico è il “luogo” dove il soggetto creativo, come lo chiama Brouwer, realizza la propria pratica. Per Brouwer era la pratica matematica. Per noi e più in generale è la pratica soggettiva dell’oggetto puro, cioè è l’etica. Non entro nei dettagli dell’operazione intuizionista, purtroppo ancora tanto estranea alla cultura accademica italiana, tuttora idealista e/o formalista. (Il marxismo è passato invano e senza lasciar tracce consistenti. Perché?). Mi limito a un’esegesi molto semplice. Tutto l’intuizionismo di Brouwer, a cominciare dalla sospensione del principio del terzo escluso (o principio della giudicabilità completa, come lo chiama l’intuizionista), non è altro che un “lungo ragionamento” – direbbe Darwin – intorno alla struttura del continuo. Il fascino dell’infinito continuo - valga per tutti il più affascinante dei suoi modelli: il continuo temporale - proviene dal fatto singolare che contiene più ricchezza strutturale di quanto il linguaggio ne possa esprimere. In un certo senso il continuo è intraducibile a parole in modo esaustivo. Non è neppure adeguatamente metaforizzabile. Costituisce, perciò, una sfida radicale al logocentrismo. Se l’oggetto è continuo, la teoria ne perde gran parte. (In questo senso e solo in questo senso è ammissibile la dottrina lacaniana dell’oggetto perduto). Per esempio, nel continuo esistono posizioni che non possono essere determinate esattamente attraverso un algoritmo discreto e deterministico (problema della fermata di Turing); esistono numeri che non rispondono a nessuna legge specificata da un numero finito di termini. Detto in termini freudiani, il continuo è il luogo “naturale” della protorimozione. E', cioè, il luogo proprio della nostra ignoranza di quei contenuti mentali che non saliranno mai alla coscienza, ma ciononostante potranno essere pensati e produrranno effetti soggettivi come sogni, lapsus, transfert, sintomi. In questo senso la protorimozione, il continuo e il tempo sono aspetti diversi, ma tra loro connessi, dell'esperienza soggettiva dell'oggetto, che nessuna epoché fenomenologica riuscirà mai a sospendere e/o a cancellare dalla coscienza, per il semplice fatto che non sono nella coscienza.
Varrà forse la pena richiamare l’attenzione sulla valenza terapeutica dell’operazione di (ri)costruzione dell’oggetto, per prevenire le inevitabili obiezioni di intellettualismo, che generalmente si muovono contro ogni tentativo di rigorizzare l’approccio psicanalitico, sottraendolo alla presa della terapia intesa in senso medico. La cura analitica può portare a costruire l’oggetto del desiderio, eventualmente ricostruendolo su nuove basi, magari risalendo a monte delle scelte soggettive infantili, per modificare l’oggetto che tanta sofferenza ha procurato al soggetto. Che, poi, la costruzione dell’oggetto sia un compito infinito (eine unendliche Aufgabe) non toglie la possibilità che sia un compito in molti casi praticabile, anche se con risultati parziali. La costruzione dell’oggetto è semplicemente una delle tante pratiche scientifiche che il soggetto della scienza ha inventato dai tempi di Galilei, creando tanti oggetti diversi: l’oggetto della matematica (l’infinito propriamente detto), della fisica (il movimento), della biologia (l’evoluzione), dell’economia (il mercato). Non dico che sia una pratica facile. Alla scienza, dalla sua origine in poi, si resiste. Si resiste all’adozione della sua etica creativa. Si preferiscono norme predeterminate, le cosiddette leggi a priori, garantite da qualche autorità e imposte da qualche potere. Allora il soggetto creativo va in sofferenza. Il soggetto della scienza – come preferisco chiamarlo – soffre moralmente. Sono convinto che nelle sue linee generali questa presentazione della relazione d'oggetto sia molto diversa da quelle correnti. E' diversa dalla presentazione kleiniana, che privilegia un oggetto particolare: il seno. E' diversa dalla formulazione lacaniana, che non privilegia nessun oggetto, essendo una teoria dell'oggetto perduto. In proposito va detto che la nozione di oggetto originariamente perduto nella dottrina lacaniana è profondamente fenomenologica e poco psicanalitica. Risale a Proust e via questi a Bergson, che è all’origine della fenomenologia francese, un origine ben anteriore alla colonizzazione parigina di Husserl e più fondante di questa. (Quando gli storici della filosofia lo riconosceranno?). Ne risulta una dottrina profondamente luttuosa o, per lo meno, una dottrina che pone a modello della vita psichica l’esperienza del lutto. Il desiderio dell’Altro è il desiderio del morto. Ci sono teorie alternative a quella dell'uno e dello zero. Per esempio, le teorie dell'oggetto infinito e non categorico. * Puoi tornare alla pagina sul sapere degli oggetti o andare alla pagina sull'oggettività plurale. „Zeitschrift für Psychoanalyse“, 57/58, 2003/II & III, S. 33-57
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SAPERE IN ESSERE | |||