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Per comprendere il radicamento del principio eziologico al cuore della soggettività basta considerare la diffusione pressoché universale, almeno in Occidente, del senso di colpa.
Pur di giustificare gli effetti con una causa, il soggetto ricorre alla supposizione standardizzata e preconfezionata di essere lui stesso la causa di ogni male. Il preconfezionamento ricorre addirittura al dispositivo religioso del “peccato originale”. Un "gene dominante" tramanda di generazione in generazione la colpa per il peccato dell’altro. Così la giustificazione eziologica è sempre pronta a spiegare tutto ciò che avviene nel mondo della vita del soggetto. Il tuo peccato è il peccato dell'altro. La formula lacaniana dell’inconscio come discorso dell’altro è ricalcata sul modello giudaico-cristiano del peccato dell’altro, che tu devi espiare anche se non l’hai commesso. Tu soffri le pene dell’inferno per la colpa dell’altro, secondo il proverbio, circolante già ai tempi di Ezechiele: “I padri hanno mangiato l’uva acerba e i figli hanno avuto i denti legati”. Così tutto funziona anche in psicanalisi. Il senso di colpa porge l’interpretazione psicanalitica per eccellenza. “Il tuo sintomo espia il desiderio di aver voluto copulare con tua madre”. Lo schematismo, prima che edipico, è eziologico. È eziologico in absentia di causa, perché tu non hai effettivamente copulato con tua madre. La causa funziona sempre, anche quando non c’è causa. Il senso di colpa è, perciò, un mito infalsificabile. Il mito di Edipo, a sua volta, traveste e corazza il mito di ragion sufficiente. Salvato il principio di ragion sufficiente, non c’è ragione che la psicanalisi diventi una scienza... e tutti vissero felici e contenti.
La connivenza tra senso di colpa e religione è evidente in due su tre religioni del libro: la giudaica e la cristiana. Manca – sembra – nell’Islam. Questo è un fatto curioso. Chiaramente il senso di colpa serve all’Uno per governare i Molti. Se i Molti hanno peccato per colpa dell’Uno, l’Uno li assoggetta a sé in quanto bisognosi della salvezza che proviene da Lui. Questo schematismo fonda il legame sociale giudaico-cristiano.
Il legame sociale islamico è diverso? Apparentemente sì, effettivamente no. Il mondo islamico non conosce la divisione e la reciproca indipendenza dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, su cui si fonda, prima che sulla procedura elettorale, ogni democrazia. Il giudice islamico non interpreta in nome della legge la responsabilità del singolo di fronte all’atto compiuto, ma giudica in nome della volontà del sovrano, che è non scritta e arbitraria. Il risultato è che il soggetto islamico è potenzialmente sempre peccatore, se così stabilisce il giudice in nome del sovrano. La sua situazione non è sostanzialmente diversa da quella del soggetto ebraico o cristiano, che sono attualmente sempre peccatori a “causa” del peccato dell’altro. È solo intrinsecamente più kafkiana, perché il peccato dell’altro non è esplicitato. In termini freudiani si direbbe che la colpa dell’altro, che ritorna al soggetto come colpa personale, è il protorimosso della religione islamica. Ancora in termini freudiani la colpa originaria è il parricidio, che l’Islam originariamente rimuove. Quindi, nell’Islam non funziona il peccato. Funziona la rimozione originaria del peccato, cioè della causa. In termini lacaniani, nel mondo islamico la causa cessa di essere immaginaria, cioè concreta, e diventa puramente simbolica, cioè astratta. L’interdizione all’artista di rappresentare la figura umana sarebbe connessa a questo passaggio eziologico dal registro immaginario a quello simbolico.
La causa rimossa, tuttavia, come Pompei ancora sepolta dalla cenere del Vesuvio, sopravvive meglio della causa esplicitata e portata alla luce del sole. Sotto la sabbia della rimozione, la causa è protetta dall'erosione degli eventi ambientali e governa con mano invisibile la politica e l'attività cognitiva. Non c’è speranza di scientificità nell’Islam, quindi, se è vero che il discorso scientifico si fa effettivamente in assenza di causa. (Il lacaniano ortodosso parlerebbe di causa fuorclusa dal registro simbolico e passata nel reale, dove produce effetti incontrollabili. Sarebbe il triste caso di una fuorclusione conseguente a o preparata da una rimozione.)
Sia come sia, il principio di ragion sufficiente fonda sia la colpa privata, concentrata nel singolo, sia la colpa pubblica, diffusa nella collettività, non importa quanto esplicita sia. Facciamo allora la rivoluzione contro la causa? Avrei qualche dubbio ad aderire alla causa dell'anticausa. Sospendere il principio di ragion sufficiente, come fa la scienza, potrebbe essere un grande sollievo per il singolo, che verrebbe liberato dal senso di colpa, ma rappresenta un grande pericolo politico per la sopravvivenza della collettività. Il senso di colpa collettivo unifica la collettività. Ne fa un’unità distinta dalle altre, su cui può proiettare la propria colpa, istituendole come diverse e da combattere. La sospensione del senso di colpa collettivo – e ancora prima il principio di ragion sufficiente – sarebbe una minaccia per l’identità etnica, che è supposta "causata" dall'origine comune. L’identità etnica minacciata non ha, allora, altre risorse che rimandare indietro i barconi degli extracomunitari che pattugliano le sue acque. Miserie del senso di colpa. È l’altro che è colpevole di voler infrangere i miei confini, non sono io il colpevole, perché sto dentro ai miei confini. Se rimando indietro i barconi, sono a posto e non mi sento in colpa per l’esistenza dell’altro, diverso da me, che mi ricorda la mia diversità originaria. Questa sì che è una sicurezza.
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Correlata al criterio eziologico e al senso di colpa è la pseudonozione di razza.
Oggi assistiamo al secondo rinascimento della nozione di razza. In realtà non è mai morta. Come non è mai entrata nel dominio scientifico. Non trovi la voce "razza" nella recente enciclopedia della biodiversità, curata da Niles Eldredge. Ma pullula nel sottobosco del mondo accademico americano e varesotto.
L’altro è diverso. Questo è evidente. Perché? Perché è di una razza diversa. Ovvio, no? Non è ovvio, è eziologico. Non è un’evidenza. È un principio.
Un principio rassicurante, la tautologia. Io potrei essere diverso da me stesso? Non diciamo stupidaggini, interviene Fichte. Però se esistesse un non-Io, questo è l’altro, non sono Io. L’altro è il ricettacolo di ogni diversità da me stesso, che potrei eventualmente scoprire in me stesso. Così, invece di perseguitare me stesso, posso perseguitare l’altro, senza sentirmi in colpa. Comodo, l’altro.
Già, perché se esiste l’altro, ci deve essere una causa. Forse mio padre ha fornicato con altre che con mia madre e ha generato dei fratellastri. Poi si è sentito in colpa. Anch’io mi sento in colpa per lui. Anzi mi sento in colpa, perché non ho difeso mia madre, cioè la purezza della mia origine. Avrei dovuto fornicare con lei per generare miei simili. Ma Freud dice che l’inconscio lo impedisce.
Che fare?
Mi è venuta un’idea. Prendo la tessera della Lega. Così sono a posto con la coscienza razziale e non mi sento in colpa.
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Considerazioni folkloristiche a parte, esiste una ragione strutturale che giustifica la diffusione pressoché universale del principio di ragion sufficiente, e soprattutto la sua versione autoreferenziale del senso di colpa: "Io sono la causa di tutto il male del mondo".
Consideriamo il semplice gioco delle coincidenze.
Esistono n posti numerati da 1 a n e n tessere numerate da 1 a n.
Si distribuiscono a caso le n tessere negli n posti. Alcune tessere andranno in un posto diverso da quello del proprio numero, altre andranno in un posto che coincide con il proprio numero. Qual è la proporzione del primo evento e quale quella del secondo?
L'analisi del gioco mostra che la frazione delle non coincidenze tra tessera e posto tende rapidamente al crescere di n a un valore costante pari a 1/e, cioè circa il 36%. Questo vuol dire che l'evento di almeno una coincidenza si verifica ben nel 72% dei casi, praticamente indipendentemente da n.
Nasce da questa struttura probabilistica la tendenza del senso comune a credere nelle conferme. La conferma che almeno una tessera cada nel posto giusto è alta. Viceversa, se si verifica una coincidenza, il senso comune è abituato a pensare che questa sia la regola. Il paranoico ne fa addirittura la base del proprio delirio. Per lui tutte le coincidenze confermano il proprio delirio, che così risulta incontrovertibile, perché la frequenza delle coincidenze è molto alta. E' inutile dire che questo "criterio" paranoico non vale nel discorso scientifico, che non tiene conto né delle coincidenze né delle conferme, ma solo delle confutazioni.
Se al posto di "tessere" mettete "effetti" e al posto di "posti" mettete "cause" avrete il gioco delle cause e degli effetti, dove le cause producono effetti in almeno il 72 per cento dei casi solo per caso. Capite bene che è difficile smontare il pregiudizio della ragion sufficiente, se si verifica "spontaneamente" così di frequente che la causa produca l'effetto.