LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE CESSI DI ESSERE MEDICO"

creata il 7 giugno 2010 aggiornata il 3 agosto 2011

 

 

“Se qualcuno desidera recuperare la salute bisogna innanzitutto chiedergli se è pronto a eliminare le cause della sua malattia. Solo allora è possibile aiutarlo”. Ippocrate.

Vieni da una delle tante pagine dove si sostiene che la sistemazione freudiana della psicanalisi, soprattutto grazie al ricorso al principio eziologico, è medica e non è scientifica.

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Perché la medicina non è scientifica?

È presto detto. La scienza si differenzia dalla filosofia, perché una ha l’oggetto, l’altra no. Allora, la medicina non è scienza perché non ha oggetto. In quanto carente di oggetto, la medicina è una pratica più vicina alla filosofia che alla scienza. Non a caso Heidegger pone a fondamento dell’ontologia la cura dell’esistere (Sorge).

L’affermazione filosofica è atta a suscitare le ire dei clinici medici.
Che si dividono in due partiti, come ai tempi delle diatribe medievali sugli universali. Da una parte ci sono i seguaci di Roscellino, che negava esistenza reale agli universali. L’oggetto della medicina esiste ed è l’individuo: nihil est praeter individuum. Gli universali sono puro flatus vocis. Una moderna rivisitazione del logico medievale è operata da Bruno Callieri in L’atto clinico come demitizzazione della nosologia (http://www.psychomedia.it/pm/modpsy/psypat/callieri2.htm). Dall’altra parte si schierano i settatori di Guglielmo di Champeaux, e prima di lui di Platone, per i quali gli universali esistono e sono più reali degli individui, come le idee sono più reali della realtà. Nel caso della medicina gli universali sarebbero le entità morbose, che nel loro complesso costituiscono la classificazione nosologica.

Al di qua delle sciocchezze filosofiche, bisogna dire che nessuna delle due citate  posizioni attinge veramente alla scienza. Da una parte, l’individuo non è oggetto della scienza, ma del romanzo, in generale di una storia o di una ricostruzione storica più o meno fantastica. (Gli psicanalisti conoscono, infatti, il romanzo individuale del nevrotico). Dall’altra parte, l’entità morbosa non è oggetto della scienza perché, in quanto combinazione di diverse e numerose variabili, essenzialmente aleatorie (genetiche e ambientali), non definisce un oggetto ma un’area di fluttuazioni statistiche. In sintesi, in quanto l’individuo evolve nella diacronia non può essere oggetto di scienza ma solo di registrazione storica. (In medicina si parla di anamnesi). In quanto mira alla sincronia, l’entità morbosa è potenzialmente scientifica. E su questa nozione ci soffermiamo per mostrare che tale potenza rimane allo stato potenziale.

Sosteneva Sydenham: “Il nostro primo compito è di ricondurre tutte le malattie a certe ‘specie’ ben definite, con la stessa esattezza usata dai botanici nel compilare le loro classificazioni” (Th. Sydenham, Observationes medicales circa morborum acutorum historiam et curationem, London 1676).

Per rimpolparsi, l’ancora scheletrica analogia botanica dovette aspettare ben cent’anni prima di ricevere il contributo corroborativo di Giambattista Morgagni (1762). Istituendo il metodo anatomo-clinico, il fortunatissimo De sedibus et causis morborum per anatomen indagati dà corpo alla metafora di Sydenham. La quale – va detto – era botanica prima ancora di essere formulata. Risale, infatti, ai tempi del neoplatonico Porfirio e del suo albero dei generi e delle specie (IV sec. d.C.). Il contributo della medicina al rinverdimento della botanica prescientifica è sostanziale. È di forma e di contenuto. Le cause diventano la natura dell’entità morbosa, le sedi – organi, tessuti, sistemi – diventano il luogo di osservazione della malattia, la cosiddetta localizzazione, una sorta di seconda natura, dopo l’eziopatogenesi.
L’incrocio tra principio classificatorio, che dovrebbe consentire la completezza in estensione del sistema, e il principio di ragion sufficiente, che dovrebbe riempire di contenuti concreti le caselle vuote del formalismo classificatorio, costituiscono il nerbo epistemico della conoscenza prescientifica, in generale, della conoscenza medica, in particolare. Che è appunto conoscenza senza oggetto e pratica di uno schematismo enciclopedico vuoto. In epoca prescientifica si conosce quel che si legge nell’enciclopedia, che è il codice dove è depositata la dottrina vigente.
Insomma, in quanto dottrinaria, la medicina non ha oggetto – cioè è filosofica e non è scientifica.

La medicina è rimasta ancorata alla filosofia. Forse, addirittura, la medicina è all’origine della filosofia. Ippocrate ed Empedocle precedono Platone e Aristotele nell’indagine della natura. Ippocrate ed Empedocle aprono a Platone e Aristotele il campo dove esercitare le proprie sterili elucubrazioni. La loro filosofia originaria non è più riconoscibile come tale nei successori, perché è diventata buon senso e senso comune. Ma, non tanto di nascosto, la medicina sostiene il programma dell’ontologia senza oggetto, comune a entrambe: filosofia e medicina. Il nichilismo occidentale non è l’oblio dell’essere, come sostengono Heidegger e al suo seguito Severino. Il nichilismo occidentale è l’oblio dell’oggetto, che la medicina ribadisce e pratica.

La medicina non ha oggetto, allora.
Come? mi si obbietta subito.
L’oggetto della medicina è il corpo malato, mi si contesta.
Il corpo malato? No! L’oggetto della medicina è la fisiopatologia.

La fisiopatologia è l’oggetto ideale – direi, addirittura, ideologico – della medicina. Si tratta di un costrutto astratto, impastato con i rimasugli – le verità di fatto – della fisica, della chimica e della biologia, ma senza i principi teorici – le verità di principio – di Galilei, di Lavoisier, di Darwin. La medicina non ha qualcosa di simile al moto senza motore, all'invarianza della massa-energia, della fisica, o al meccanismo selettivo del più efficiente a riprodursi, della discendenza con modficazioni, della biologia. Della scienza la medicina accoglie solo le ultime e più recenti applicazioni tecniche, sia a livello di rilevazione di dati clinici sia a livello di applicazioni terapeutiche. In questo senso la medicina è più vicina all’ingegneria che alla scienza. Della scienza la medicina non  accoglie il principio oggettivo, riducendosi alla codifica di una pratica, solo apparentemente rigorosa come quella scientifica. Apparenza oggi giustificata dall’abbondanza delle intrusioni tecnologiche nell’enciclopedia medica. Ma nell’inganno cascano solo quegli analfabeti scientifici, per lo più di estrazione fenomenologica, che ritengono che la scienza sia rimasta ai tempi del positivismo e la combattono come sapere dogmatico e apodittico. Allora nei salotti buoni del pensiero si sente parlare di “tecnoscienza” e di “scientismo”, che terrebbero fuori dal discorso il soggetto del discorso, cioè la verità.

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Il principio oggettivo della scienza – l’infinito – manca alla medicina.

L’oggetto infinito manca due volte alla medicina.

L’infinito sfugge alla classificazione nosologica. Sfugge per principio. Sfugge non solo perché la classificazione nosologica è necessariamente finita, ma soprattutto perché l’infinito è un oggetto non categorico. Non possiede un’essenza definitivamente e univocamente incasellabile in qualche cassetto della classificazione. L’infinito è un oggetto non concettualizzabile. In senso tecnico, come dicevo, è non categorico, cioè possiede diverse rappresentazioni non equivalenti tra loro. L’infinito dei numeri interi non equivale all’infinito dei punti della retta. Dopo Cantor sappiamo che, sia a livello ordinale, sia a livello cardinale, di infiniti tra loro non equivalenti ce ne sono infiniti. Questo va detto per riconoscere che la medicina resta molto indietro rispetto all’oggettività scientifica che tratta infiniti infiniti.

La seconda ragione per cui l’infinito non abita nella casa della medicina era ben nota ad Aristotele, l’inauguratore del buon senso – dell’ignoranza – occidentale. L’infinito confligge con la nozione di causa.
Perché?
Perché, se l’infinito esiste, allora diventa impossibile risalire all’indietro nella catena delle cause e degli effetti, dalle cause ultime alla prima. Il cognitivismo, che si fonda sul principio di ragion sufficiente, non ammette per principio l'infinito. Infatti, se la catena eziologica fosse infinita, si otterrebbe il cosiddetto regresso all’infinito, che paralizza ogni discorso metafisico, non solo quello medico, impedendogli di arrivare a una conclusione. Se la catena eziologica fosse infinita, sarebbe logicamente impossibile formulare qualunque riconoscimento ontologico, qualunque diagnosi, ma principalmente quella medica di malattia.
Basta questo a tenere la medicina lontana dalla scienza?
Io credo di sì, se è vero che la scienza tratta l’oggetto infinito e la medicina non ha oggetto.

Con questa affermazione – sia ben chiaro – non mi pongo contro la medicina. Sarebbe masochismo, essendo io stesso medico. Ma, in quanto medico, non amo ingannare la gente. La medicina funziona. Non lo si può negare. Funziona tanto bene da essere funzionale al potere. È, infatti, la benemerita del welfare sociale. Giustamente il politico le assegna tanta parte delle risorse nazionali. Giustamente la medicina va riconosciuta come componente essenziale del discorso del padrone, insieme al diritto e alla filosofia. Con meriti non inferiori ad altri discorsi senza oggetto: il diritto e la filosofia, ripeto. Se la mortalità infantile e la mortalità per malattie infettive sono andate sensibilmente e costantemente diminuendo da cent’anni a questa parte, il merito è della medicina, che ha creato le condizioni igieniche favorevoli al loro rallentamento. (Gli antibiotici sono secondari e in buona parte controproducenti. Sono producenti solo… per le case farmaceutiche, per le quali producono ingenti profitti). Senza medicina non potremmo vivere in società. Come senza diritto. Per la via del welfare la medicina, già ingegneristica, si avvicina alla forma paradigmatica di discorso del padrone: il diritto, che è il discorso del più forte (Benjamin). Diventa addirittura medicina-legale, al servizio dei PM insieme alla polizia cosiddetta scientifica. Ma la scientificità della medicina è pura illusione (puro comodo). Con la medicina non possiamo fare scienza. È quel che successe a Freud. Salvò l’epistemologia medica, fondata sulle cause e sulle forme morbose, su cui si era formato da giovane, e perse la conquista della maturità: la psicanalisi come scienza dell’inconscio. Se ci interessa veramente la psicanalisi, dovremmo far cambiare rotta al freudismo. Invece di puntare alla clinica medica, scimmiottandola nella raccolta di casi clinici, dovremmo avere il coraggio di puntare all’infinito. Per amore della psicanalisi dovremmo avere il coraggio di cambiare discorso: un segno d’amore, definiva Lacan il cambiamento di discorso.

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A più di un anno di distanza dalla sua creazione, propongo un aggiornamento della pagina, che consiste in una precisazione e in un avanzamento del discorso.

Precisazione

Spero (ma dubito) che sia chiaro. Non ho nulla né contro la medicina né contro i medici, che sono benemeriti della civiltà nella misura in cui proteggono l'individuo e la collettività dagli assalti degli agenti patogeni. Senza medicina, come senza diritto, non esisterebbe civiltà. Medicina e diritto sono per la sopravvivenza umana più importanti dell'invenzione del fuoco, che precede addirittura la comparsa di Homo sapiens. Ciò non toglie una virgola alla loro essenza. Medicina e diritto sono varianti del discorso del padrone, cioè del vincitore che per fortuna o per merito ha conquistato il potere. Medicina e diritto apparentemente difendono la civiltà. In realtà difendono il potente. Questa è un'incontestabile verità di fatto, che non perdo tempo a contestare, tanto meno a cercare di modificare.

Tuttavia, contesto l'illusione, che è diffusa e toccò anche Freud, che la medicina sia una scienza. L'illusione si basa sulla capacità della medicina di dire le cose come stanno in termini deterministici. Gli effetti – i sintomi – sono rigidamente determinati dalle cause – gli agenti morbosi. Questo discorso, basato sul principio di ragion sufficiente, non è sufficiente a trasformare il cognitivismo medico in discorso scientifico. Che la medicina sia una scienza è l'illusione che mi sforzo di smontare. Perchè? Cosa mi anima? Voglio forse acquisire meriti come benefattore dell'umanità? Assolutamente no. Voglio solo smantellare il preconcetto illusorio che ha pesantemente danneggiato la psicanalisi, impedendole di evolvere verso la propria forma di scientificità, anzi mantenendola rinchiusa nello schematismo terapeutico, che in psicanalisi si chiama psicoterapia e non ha molte prospettive scientifiche. La psicanalisi NON diventerà scientifica, se diventerà più medica, cioè più orientata alla psicoterapia. La psicanalisi diventerà scientifica, se diventerà meno medica e meno orientata alla psicoterapia.

La responsabilità del danno arrecato all'immagine della psicanalisi dalla prevalente medicalizzazione fu in parte non piccola anche di Freud.

Nel 1926 Freud scrisse un pamphlet polemico sulla questione dell'analisi laica, tradotto in italiano Problema dell'analisi condotta da non medici. Nel suo "piccolo scritto", come lo chiama, Freud se la prende con i medici che eserciterebbero la psicanalisi senza adeguata preparazione, la Ausbildung.

La svista freudiana è clamorosa. Il medico non si sogna di esercitare la psicanalisi, che lascia ai poco stimati colleghi. Il medico esercita la psicoterapia, che è una pratica medica millenaria, per la quale ha la formazione adeguata, codificata dal buon senso ippocratico, secondo cui esistono degli agenti morbosi che producono come effetto delle malattie.

Il punto su cui Freud scivola è la pretesa che la psicanalisi sia medica per principio, pur non essendo medica di fatto. Per valutare la scientificità della psicanalisi Freud adotta criteri medici. L'errore freudiano di fondo è di considerare le nevrosi delle malattie. Se sono malattie, sono prodotte da cause morbose, gli agenti patogeni. Se sono malattie, esiste la cura che produce la reintegrazione del malato nello stato precedente alla malattia.

La scientificità della psicanalisi si basa per Freud su due fatti empirici:

1) esiste il trauma psichico: un certo vissuto sessuale che l'Io infantile percepisce come estraneo a sé e pericoloso, quindi rimuove;

2) esiste la cura psichica, la psicanalisi, che solleva l'Io dal compito gravoso di rimuovere la sessualità, riportandolo allo stato precedente alla rimozione.

Chi rispetti questi due assunti eziologicamente interdipendenti fa della medicina, anche se non è laureato in medicina; anche se ha compiuto un training psicanalitico completo e rigoroso.

Freud dimentica che la scientificità della psicanalisi è di principio e si basa SOLO sull'esistenza dell'inconscio, un sapere che il soggetto non sa di sapere. In Freud si verifica il caso non raro dell'uomo di scienza che opera contro la propria stessa scienza, anche quando lui stesso l'ha inventata ex novo. Gli allievi di quell'uomo di scienza dovrebbero correggerlo. Io cerco di correggere Freud, demolendo la sovrastruttura medica in cui il medico di Vienna ha ingabbiato la psicanalisi. A tal fine cerco di riportare la creatura freudiana alla fonte della sua scientificità di principio: l'inconscio.

Avanzamento

Recentemente una collega, che condivide il mio discorso sulla scienza che produce del nuovo, mi obietta che anche in medicina esistono innovazioni. Anche la medicina, quindi, sarebbe scientifica in base al criterio dell'innovazione.

Chi lo negherebbe? In medicina esistono innovazioni tecniche. Sono tali le acquisizioni che la medicina importa da altre scienze, principalmente dalla biologia e dalla chimica. Si tratta però di innovazioni non originariamente mediche. Penso alle innovazioni diagnostiche: dai raggi X alla risonanza magnetica, o alle innovazioni terapeutiche: dalle vaccinazioni alle terapie antibiotiche. Se non ci fosse stata la fisica quantistica, oggi non ci sarebbe una scienza delle immagini mediche. Se non ci fosse stata la teoria dell'evoluzione di Darwin e la genetica di Mendel, oggi non ci sarebbero tante possibilità terapeutiche dalla chemioterapia alle cellule staminali.

Ma la collega insiste. Innovazioni come il trapianto di midollo osseo o di cuore sono originariamente mediche.

Non contesto che certe innovazioni siano originariamente mediche. Dico solo che quelle innovazioni mancano del marchio della scientificità. Perché lo dico? Perché non sono sorrette da principi scientifici. Sono innovazioni in un certo senso casuali, che nascono da programmi di ricerca euristici. Sono il portato di procedure che avanzano fondamentalmente per tentativi ed errori. Se la cosa funziona, funziona; se non funziona, si può sempre dire che non era previsto che funzionasse.

Allora, questa è la linea di demarcazione tra scienza e non scienza, medicina in particolare.

Nella scienza esistono verità di principio; in medicina no: solo verità di fatto .

La scienza è sia teorica sia empirica. La medicina è solo empirica, quindi non è scienza. Faccio un paio di esempi molto semplici, che tuttavia segnalano la complessità del campo in cui operiamo. In fisica esiste il principio galileiano di inerzia, che non è un principio verificabile in pratica, ma consente di verificare in pratica molti fenomeni fisici. In biologia vale il principio darwiniano di discendenza con modifiche, che è verificabile in pratica, ma non giustifica l'evoluzione delle specie, nel senso che in media una specie non cambia per milioni di anni. Ma sia la fisica sia la biologia sono scienze, non semplice accumulo di dati empirici, proprio perché operano a partire da principi non empirici.

Detto filosoficamente, alla Kant, nella scienza esistono principi trascendentali, che non si inducono dall'esperienza, ma rendono possibile apprendere dall'esperienza. Nella tecnica, medicina compresa, tali principi non esistono. La tecnica medica è per principio solo empirica, quindi non è scientifica, anche se è benemerita per il salvataggio di tante vite umane. Paradossalmente, tuttavia, la tecnica medica non salva la psicanalisi dall'estinzione all'interno dell'empirismo psicoterapeutico.

Per salvare la psicanalisi dall'estinzione, il dottor Sciacchitano, con il camice dell'ostetrico, tenta di tagliare il cordone ombelicale che unisce l'invenzione freudiana alla medicina. Se pure nacque in ambito medico, è arrivata l'ora che la psicanalisi si affranchi dal protettorato della medicina. Ricordo quel che tutti i medici sanno: se non si taglia il cordone ombelicale, il neonato rischia di morire dissanguato.

C'è, infine, un dato empirico interessante, che, seppure non dimostra che la medicina non è scienza, depone fortemente a favore dell'ipotesi che il medico non sia uno scienziato o meglio non si concepisca come scienziato.

Leggo sul numero 516 di agosto 2011 di Le Scienze una statistica americana, riferita dal patologo Darin L. Wolfe del Morgan Hospital di Martinsville nell'Indiana, che negli anni Cinquanta gli esami autoptici dei decessi ospedalieri si attestavano al di sopra del 50%; negli anni successivi tale percentuale ha subito un brusco calo fino a raggiungere attualmente valori stimati intorno al 6%.

Cosa vuol dire? Il medico non ha bisogno di conferme empiriche? Forse che la medicina non è dai tempi di Ippocrate una pratica dell'empirismo? Io vado sostenendo in questo sito che le conferme non confermano le congetture. Forse che i medici si sono resi conto di questa banale verità logica?

In gioco, tuttavia, c'è di più che la semplice logica. La logica, anche quella più rigorosa, va presa con un granellino di sale. In epoca scientifica il granellino di sale è il calcolo delle probabilità. E' vero che le conferme empiriche non confermano una congettura, ma è altrettanto vero che aumentano la probabilità che sia vera (teorema di Bayes). Senza contare le probabilità di confutazione, che il medico, essendo di mentalità dottrinaria, non prende neppure in considerazione.

Infatti, dietro il citato dato statistico si nasconde una realtà inquietante. Cito: "Nel 40% dei casi l'esame autoptico rivela una diagnosi principale non scoperta in precedenza, un valore che è rimasto costante per i 60 anni in cui sono state registrate queste correlazioni cliniche-patologiche" (ivi, p. 66). Non solo: "La probabilità che l'autopsia evidenzi errori di classe I, in cui l'errata diagnosi può aver influenzato la sopravvivenza del paziente è del 10,2%. La probabilità di errori di maggior rilievo, diagnosi mancate che probabilmente non hanno influito sul risultato, è risultata del 25,6%. Si stima che 35.000 pazienti muoiano negli ospedali degli Stati Uniti ogni anno potrebbero sopravvivere, se queste condizioni cliniche nascoste venissero alla luce prima" (ibidem).

Medicus necator, è la vox populi, che in questo caso è anche la voce dell'inconscio. Il medico nasce, infatti, come operatore di morte, essendo colui che dopo la battaglia dà il colpo di grazia ai feriti gravi. L'accanimento terapeutico e l'attaccamento alla vita, esibito nei nostri squallidi dibattiti parlamentari, sono pure formazioni reattive per nascondere una "pulsione di morte" più fondamentale di quella di vita. Ma a noi piace essere ingannati. Quindi resistiamo alla scienza che vorrebbe demistificare l'inganno. La stessa psicanalisi, che di professione è demistificante, si rifugia spesso e volentieri sotto le ali della medicina e allora diventa psicoterapia e muore come psicanalisi. Medicina necatrix psicanalysis.

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