LA PSICANALISI SECONDO |
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"TU NON PUOI NON SAPERE |
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Vieni o dalla “introduzione” al sito o da “Cartesio”, che è il vero nostro introduttore alla modernità. Sei nella “morale del sito” Vengo all’“essenza” del sito. Su questo punto mi gioco tutte le mie carte. So che è un gioco azzardato. Il rischio è di non trovare giocatori. Infatti, il luogo comune è che l'etica sia estranea alla scienza e che sull'uomo di scienza debbano essere eseguiti innesti morali da fuori della sua pratica: dalla religione, dal diritto, dalla politica. Almeno così l'intendono i fautori delle commissione di bioetica, neuroetica, ecc. nonché i promotori di congressi per un un'etica dell'ambiente.
La conoscenza può essere moralmente indifferente, in quanto oggettiva, la scienza, in quanto soggettiva, no. Sviluppo la speciosa differenza tra conoscenza e scienza alla pagina sapere degli oggetti, ma anche in un saggio, pubblicato in un numero di "aut aut" dedicato alla medicalizzazione della società contemporanea (A. Sciacchitano, Tuttobeneverosì, sulla medicalizzazione, o le vicissitudini di una relazione di inganno, "aut aut", 340, 2008, pp. 153-169). Cosa c'entra la medicina? C'è qualche malattia da affrontare? Forse sì. Infatti, bisogna saper vedere il fenomeno psicanalitico nel suo contesto originario, che è medico. La psicanalisi ortodossa è una forma di medicina sui generis, che i medici stessi non gradiscono, in quanto, a differenza della medicina ippocratica, la medicina freudiana mette in discussione il medico e il suo sapere. Nel saggio citato dimostro che sin dai tempi di Ippocrate la medicina, proprio in quanto non scientifica, rende un servizio enorme al potere, che da qualche secolo la usa, oltre che per curare e prevenire (fine più che altro demagogico, oggi integrato nella cosiddetta biopolitica), per resistere alla scienza e mantenere l'inganno del controllo sulla vita. Resiste e resiste bene la medicina a difesa dell'ordine costituito. Ha gli strumenti per farlo, a partire dal principio di ragione sufficiente (sufficiente al potere). Nel secolo passato è stato più facile decostruire la metafisica che la medicina. E il futuro non promette cambiamenti sostanziali. La psicanalisi, questa scienza nuova, che doveva caratterizzare il futuro dell'umanità, si è presentata sulla scena della civiltà già vecchia, cioè medicalizzata, già negli scritti del suo creatore, Sigmund Freud. La medicalizzazione della psicanalisi è stata la forma di vaccinazione preventiva contro la nuova scienza del soggetto. Tutto fa pensare che esista una forma di intelligenza collettiva, di tipo conservativo, la quale agisce in nome del principio primum non nocere: in questo caso non nuocere alla civiltà. L'intelligenza collettiva sa che la scienza è una minaccia per l'ordine costituito, più pericolosa di ogni pandemia e di ogni pratica esplicitamente rivoluzionaria. La malattia da prevenire si chiama "sovversione del soggetto". Il soggetto della scienza, non più identificato a qualche ideale comune, è difficilmente governabile. E' fragile, soggetto al desiderio dell'altro, ma è paradossalmente libero. Procede libero per le strade della propria ignoranza, relativamente incurante dei limiti che gli impone la civiltà. Perciò la cura, o meglio la prevenzione, anche sociale, della "malattia" scientifica è e sarà sempre la medicina ippocratica, rimasta nei secoli fedele al potere costituito. Ma sto divagando. Chi vuol approfondire l'argomento può andare alla pagina: Resistere alla scienza. o leggere l'omonimo libretto. Data la struttura di scommessa sulla ragionevolezza (fecondità) di alcune ipotesi scientifiche, la scienza non può essere, come si dice impropriamente, neutra. Fatta la scommessa, il soggetto della scienza è moralmente responsabile delle conseguenze, sia che vinca sia che perda, non importa se le conosce prima o solo dopo. accetti o non accetti di essere responsabile di quel che non sai ancora? Qui, a livello della decisione etica, vale il principio del terzo escluso, che si può proficuamente sospendere durante la ricerca vera e propria. "Tu sei responsabile anche di quel che non sai". Sembra un principio terroristico. È persino difficile escogitare un nome opportuno per questa posizione etica. Etica conseguenzialista, andrebbe bene, se l'espressione non fosse stata già colonizzata dagli utilitaristi. Etica debole fa il verso al “pensiero debole”, che oggi non è più di moda. Chi mi trova il nome giusto? La stessa difficoltà terminologica segnala che qui io urto, tu urti, egli urta, noi urtiamo contro il nocciolo duro – per i più indigeribile – dell'impresa. Cerco di avvicinarmi con la prudenza richiesta in analisi dall'approssimarsi al nucleo patogeno del sintomo nevrotico. Il sito scommette su una congettura: che sia possibile una psicanalisi scientifica, senza maestri, senza scuole di specializzazione, senza fini prestabiliti, Lo dico qui una volta per tutte, perchè non affronto la questione in altre parti del sito: se la psicanalisi è una scienza, non ha nulla a che fare con la finalità terapeutica - rivendicata dalla famigerata e servile psicoterapia - semplicemente perchè la scienza non ha finalità. La scienza non ha finalità imposte dall'esterno, per lo più dall'alto, magari in nome del bene comune. In questo senso, mi si obietta che la scienza è asociale. Sì, rispondo con una battuta evangelica: la scienza non è di questo mondo. Non si interessa al mondo della vita, per dirla con i fenomenologi. E' fondamentalmente innaturale. Prima di me l'ha detto un autore non tenero con la psicanalisi, Lewis Wolpert, in La natura innaturale della scienza (1992), Dedalo, Bari 1996. Ho sviluppato questo tema nel mio intervento al convegno di Livorno del 2000. (A. Sciacchitano, La psicanalisi, una scienza innaturale, in Le sfide della psicanalisi, a cura di G. Bertelloni, S. Berti e P.G. Curti, ETS, Pisa 2001, pp. 65-78. Per onestà riporto anche l'intervento parlato, dove si vede ancora tutta la mia resistenza ad ammettere che la psicanalisi sia una scienza.) A monte - come si diceva nel '68 - è la scienza moderna a essere innaturale. Lo argomenta in modo convincente Lewis Wolpert (1992) nel suo La natura innaturale della scienza (Dedalo, Bari 1996). La scienza è innaturale, perché non è un discorso sulla natura, come la scienza antica, ma sull'infinito, che la scienza antica aborriva. In quanto disciplina autonoma da ogni riferimento naturalistico, la scienza persegue solo la propria logica interna. Non è fatta per adeguarsi alla realtà e non tollera censure dal potere - lo dico a perbenisti che invocano la supremazia del diritto (magari canonico), per controllare gli scienziati "pazzi" che manipolano gli embrioni. La scienza è libera, perché la libertà è il fondamento dell'essere - parola di Jean-Paul Sartre (Cfr. La liberté cartesienne, 1946). Ma ecco il punto veramente problematico, cioè, etico, che le polemiche brevemente accennate - scienza sì, scienza no - tendono a oscurare. Non potendo quasi mai farsi forte della dimostrazione categorica, la posizione scientifica, ossia congetturale, è precaria. Essendo in attesa di dimostrazione – en souffrance, dicono i francesi – la congettura scientifica non ha fondamenti ontologici. In epoca moderna, non si parla di fondamenti, ma, se se ne parla, bisogna anche dire che è il sapere che fonda l'essere, non è l'essere che fonda il sapere. Occorre, allora, una forza morale di convinzione – la mia, la tua, la sua – per supplire a tale mancanza di fondamenti. Occorre un drive – fuor di metafora – occorre un soggetto che sostenga la scommessa scientifica, che mantenga a ogni costo la congettura e che tiri diritto, attraversando stati epistemici favorevoli e contrari, fino al momento di concludere praticamente:
La logica congetturale ha bisogno di un’etica, quindi. Che, per la logica stessa della congettura, non può essere un'etica categorica. La mossa geniale di Cartesio, veramente tagliata su misura per la nuova soggettività che stava emergendo nel XVII secolo, fu di proporre un’etica par provision, come la chiama nel suo Discorso sul metodo. (Terza Parte).
Racconta di viandanti che si sono persi nella foresta. Non sanno come uscirne. Chiedono lumi al filosofo. Semplice, risponde Cartesio, che come matematico amava semplificare. (Quattro sesti si semplifica in due terzi). Basta che scegliate una direzione qualsiasi, una vale l'altra – qui sta la non categoricità della prescrizione morale. Non preoccupatevi per questo: ogni direzione equivale a ogni altra. Basta che andiate avanti senza deviare. La rettitudine morale è solo questo: sostenere la decisione presa, senza tornare indietro né cambiarla strada facendo. Alla fine i casi sono due e solo due: o uscite dalla foresta o cadete in un burrone – che è un altro modo di uscirne. Tertium non datur. E' curioso. Il discorso cartesiano procede come se Cartesio conoscesse già la topologia dei nostri tempi. (Conosceva, in effetti, l’invariante topologico dei poliedri, che sarà detto poi caratteristica di Eulero, cioè E = facce - lati + vertici = 2). In particolare, sembra che Cartesio conoscesse il teorema topologico di Jordan, un teorema facile da enunciare, ma molto difficile da dimostrare nella sua generalità.
Fine della curiosità. L’epoca moderna non ha etiche categoriche, codificate una volta per tutte in qualche libro sacro. L'etica moderna è un’etica del passaggio o dei passaggi. (Per il teorema di Jordan, se la curva è complicata, i passaggi da dentro a fuori possono essere molti più di uno). L’etica moderna è fondamentalmente transizionale – si potrebbe dire utilizzando il bel aggettivo che, non a caso, Winnicott inventa per designare l’oggetto del desiderio. L'etica del passaggio è anche di passaggio. Con una precisazione. Esiste un e solo un passaggio irreversibile in morale. Per la modernità esiste una e una sola transizione fondamentale: il passaggio dall’essere incondizionato degli antichi – l’essere è, il non essere non è – all’essere condizionato dal sapere dei moderni – se sai, sei.
"L'etica kantiana è perversa perchè feticizza l’altro. Lo riduce a oggetto". Nel mio linguaggio Kant riduce l’infinito al finito. In particolare, al vuoto, essendo l'etica kantiana, vacuamente valida. (Inciso per il lacaniano dop. Solo due anni prima della sua interessante decostruzione del kantismo, alla fine del famoso Settimo Seminario (6 luglio 1960), Lacan aveva formulato un principio categorico, di stampo kantiano, per l'etica della psicanalisi: Non cedere sul desiderio. Ma, essendo un maestro, cioè uomo di dottrina e non di scienza, Lacan non si corresse. Non poteva correggersi. Avrebbe sconvolto gli allievi, che esigono dottrine categoriche. Gli allievi non vogliono fare la fatica di fare ricerca. Vogliono solo applicare verità garantite dal Super-Io. Fine dell'inciso).
Capisco che li si voglia a tutti i costi rendere non avvenuti Cartesio e la scienza – azzittire come se non avessero mai parlato. Sempre più spesso si predica contro di loro in nome di qualche monoteismo o di qualche equivalente ideologia di controllo sociale. Purtroppo, pur di sottrarsi al compito etico infinito della scienza – die unendliche Aufgabe, lo chiamava Freud, ma anche Benjamin, in un frammento criptico, quasi lacaniano – la maggioranza si sottomette volentieri alla bacchetta di un maestro, ritorna allegramente sui banchi di scuola a cantare i ritornelli del catechismo, celebra compuntamene, quando non violentemente, i riti di qualche Chiesa, che esorcizzino quel che genericamente si chiama “relativismo”. Questo sito, allora, non è per la maggioranza. Non è per chi in nome del benpensantismo umanista vorrebbe controllare – perchè non la conosce e, quindi, la teme – quella "scienza padrona", che con lo strapotere totalizzante della tecnica metterebbe a rischio i principi democratici (Corriere della Sera, 7 giugno 2007, p. 41, Ernesto Galli della Loggia su Aldo Schiavone). Questo sito propone i valori morale della modernità: il binomio scienza e psicanalisi. Lo propone nell'ignoranza. In effetti, non so cosa sia la scienza psicanalitica. Nella pagina precedente ho affermato che la scienza psicanalitica non è questo e non è quello. Non è fisica, non è biologia, non è sociologia, non è linguistica, pur dovendo conservare qualcosa e della fisica (l'indeterminismo) e della biologia (la variabilità) e della sociologia (l'equazione privato = pubblico) e della linguistica (gli effetti soggettivi del significante). Ma cosa sia specificamente la scienza psicanalitica, questo non mi sono ancora arrischiato a dirlo. Ci provo adesso. Scusate se la prendo lunga. La statistica dice solo mezze verità, ma le dice. Consultando il Gesamtregister delle Gesammelte Werke di Freud alla voce Wunsch conto 5 colonne di citazioni. Alla voce Widerstand 13. Per il teorema di Bernoulli la probabilità che tale differenza, o una ancora più marcata, sia casuale è inferiore al 5%. Poco per sostenere l’ipotesi di non differenza. In questo caso sì. L'osservazione statistica, unita alla precisazione morale, si rivela feconda, se si tollerano alcuni suoi aspetti paradossali. Dice che si resiste all'inconscio non perché sia inconscio, ma perchè è un sapere. Il sapere inconscio, non ancora integrato nel sistema del sapere saputo, minaccia di squinternare l'enciclopedia soggettiva. Non è facile aggiornare i codici epistemici stabiliti, come si aggiorna una pagina web. Perciò si resiste alla novità dell'inconscio: per difendere il sapere acquisito, ossia come dico in questo sito: "il sapere in essere". Ho usato il termine "difesa", che non mi piace perché antropomorfo. Posso dire meglio. Freud inventa una scienza - la sua "nuova scienza" - come scienza dell'ignoranza. La sua teoria della rimozione, della difesa, del conflitto è un modo maldestro per descrivere i modi in cui il soggetto vuole rimanere ignorante: attivamente ignorante. Io lo dico in modo meno antropomorfo di Freud: l'ignoranza è la strategia che il soggetto finito adotta per giocare con l'infinito. Ci sono tanti livelli di questa strategia. Si va dall'assoluto non volerne sapere dell'infinito, tipico dell'umanista, al non poterne sapere di più, tipico del matematico. In mezzo ci sta il modo psicanalitico, che suppone falsamente il sapere nell'altro per dedurre il sapere vero del soggetto. La transizione dalla posizione umanistica a quella matematica è paradigmatica. Conosco, oltre alla psicanalisi, una scienza, per certi versi affine alla psicanalisi, dove questa transizione è avvenuta con effetti folgoranti: la crittologia. Fino al XIX sec. la crittologia era in mano letterati, linguisti o dilettanti di cose umane, che sulla presunzione della stupidità dell'altro, hanno prodotto cifrature inefficienti. Quando, sulla spinta di esigenze belliche e commerciali, che richiedevano cifrature efficienti, sono stati chiamati in causa i matematici, le cose sono cambiate. Il matematico lavora supponendo che l'altro non sia stupido. La supposizione è stata feconda. Ha prodotto la scienza della crittologia. Oggi si conoscono sistemi di cifratura teoricamente sicuri e praticamente affidabili, e soprattutto si dispone di una teoria della crittografia, branca specialistica della teoria dei numeri. Cose che gli umanisti neppure si sognano. Succederà lo stesso per la "nuova scienza" dell'ignoranza: la psicanalisi? Non lo so, lo spero. Non sono sicuro che la mia definizione, provvisoria e approssimativa di psicanalisi come scienza dell'ignoranza, contenga effettivamente una scienza. So per certo solo che non è una definizione vuota. Infatti, in una logica epistemica, costruita a partire dalla logica intuizionista, si può definire un operatore epistemico, che simula il funzionamento del sapere inconscio. (Se ne vuoi sapere di più, vai a sapere del tempo. Troverai il mio testo Una matematica per la psicanalisi, che ne parla.) Tra i teoremi di cui questo operatore gode, ne esiste uno che mi piace chiamare "teorema di Cartesio". Recita: "se non sai, allora sai". Questo teorema – che è molto generale, perché si dimostra senza far ricorso al principio del terzo escluso – potrebbe funzionare da primo nucleo di condensazione di una scienza dell'ignoranza. Se questa scienza esiste, è molto "nuova". Ci vorrà tempo prima che entri nell'orecchio un paradosso, che sembra una contraddizione in termini: "scienza dell'ignoranza". Ci vorrà un po' di tempo prima di cambiare l'intestazione di questo sito. Per ora mantengo "la psicanalisi secondo Sciacchitano". Non è presunzione o vanità la mia. Mantengo questo titolo almeno finché c'è bisogno che qualcuno garantisca davanti a tutti che una scienza dell'ignoranza esiste. Questa situazione è chiaramente provvisoria, perché una scienza matura non ha bisogno di maestri, di autorità o di qualche altra forma superegoica che garantisca per lei. Quando non ci sarà più bisogno della mia debole garanzia, questo sito cambierà nome e diventerà "scienza dell'ignoranza" o meglio, al plurale, Un'interessante analisi, per certi versi simile alla mia, ma più ortodossa in senso lacaniano e (quindi) più timida nei confronti della scienza (che non distingue dal cognitivismo), è quella di Marie-Jean Sauret (2006, Tolosa) riportata in Questo titolo mi interroga. Esiste una forma di convivenza tra analisti diversa da quella settaria? Per tentare di rispondere a questa domanda bisogna cambiar pagina. Vai a Il legame sociale degli analisti.
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